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Davide Landoni
Leggi i suoi articoli«Nel XVII secolo Leonor Fini sarebbe bruciata sul rogo come una strega», scrisse l’«Independent» quel giorno del gennaio 1996 in cui la pittrice morì. Il riferimento andava al suo amore per i gatti, ma anche al suo aspetto e temperamento, in qualche modo felino, ammaliante e ambiguo. Secondo il mercante d’arte americano Julian Levy, che nel 1936 a Parigi le dedicò la prima grande personale, «le sue parti non si incastravano bene tra loro: testa di leonessa, mente di uomo, busto di donna, torso di bambino, grazia di angelo, eloquenza del diavolo...».
Una sorta di natura chimerica, nata a Buenos Aires, cresciuta a Trieste, vissuta tra Milano e Parigi, che traspose nei suoi dipinti surrealisti, e che soprattutto l’aiutò a imporsi in un contesto in cui i colleghi maschi, citando Dalí, credevano che lo spirito artistico si celasse «nei testicoli». Stoffa, parafrasiamo così, che la pittrice ha dimostrato di avere, soprattutto nei confronti del tempo. A quasi trent’anni dalla morte, la sua eredità artistica è più apprezzata che mai. Anche il mercato se n’è accorto. Sull’infinita scia del Surrealismo e su quella più attuale della valorizzazione femminile, sono cinque anni che in asta Leonor Fini non scende sotto il milione di dollari. Soglia che in precedenza aveva toccato solo nel 2008 e 2013. Mentre ora viaggia su tutt’altre cifre: 4,4 milioni nel 2021, 3,7 milioni nel 2024, solo per citare i punti più alti. Ad apprezzarla sono soprattutto gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia e il Belgio, forse per il rimando fiammingo che pulsa nelle sue tele.
Gli sfondi scuri, le figure pallide, l’atmosfera esoterica. Elementi distintivi che ritroviamo pienamente espressi in quello che ad oggi è il suo manifesto. «Autoportrait au scorpion» (1938), dove la vediamo elegante e sinuosa, sprezzante e sinistra nel mostrarsi con uno scorpione celato sotto il guanto. Sotheby’s nel 2021 l’ha venduto a New York per 2,3 milioni di dollari, settando l’asticella del suo record sul mercato secondario. Soglia a cui si è avvicinato nel 2024, questa volta da Christie’s a Londra, il dipinto dai toni gotici «Rogomelec» (1978), passato di mano per 1,18 milioni (la stima era 450-650mila). L’opera, che raffigura un re vestito di un elaborato mantello di piume di pavone ergersi in una terra arida, illuminata da una luce lunare, condivide il titolo con quello del terzo romanzo di Fini. A ben guardare, il primo grosso segnale in asta era già arrivato nel 2020 con «Figures on a terrace». La calma della scena, con il gruppo distribuito placidamente nello spazio, è solo apparente. Il cielo infinito, la stravaganza dei personaggi e l’atmosfera onirica sembrano trasportare la quotidianità in uno spazio dai contorni di sogno. Insieme ai rimandi a Delvaux e a de Chirico, gli ingredienti perfetti per un’aggiudicazione da 980 mila dollari. Quella inaugurale, quella che ha lanciato definitivamente le opere di Fini sul grande mercato.
Significativa poi, la presenza di un altro autoritratto nella top five dei suoi lotti più preziosi. Anticonvenzionale, ipnotica, moderna, trasgressiva, creativa. Il caso di Leonor Fini potrebbe essere uno di quelli in cui, attraverso le sue opere, si ricerca l’artista? La sua vita, il suo fascino. Come accaduto per il top lot assoluto, «Autoportrait au turban rouge», passato di mano per 900mila euro da Sotheby’s, a Londra, nel 2023. Miscela da cui non manca ovviamente una quota d’erotismo, mai assente ma quanto più evidente in «Les Aveugles» (1968), battuta a 867mila dollari nel 2021, da Sotheby’s New York. Se il dipinto completa la nostra cinquina di segnalazioni, non è escluso che il 2025 ci conduca presto ad aggiornarla. Perché no, magari grazie alla mostra che Palazzo Reale di Milano le dedica fino al 22 giugno 2025. Del resto, guardarla negli occhi, anche nella sua forma dipinta, è sempre stato rischioso. Parola di Julian Levy.

Leonor Fini, «Autoportrait au scorpion», 1938. Cortesia di Sotheby’s

Leonor Fini, «Autoportrait au turban rouge», 1938-41. Cortesia di Sotheby’s
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