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Redazione GdA
Leggi i suoi articoliSecondo il nuovo Art Basel & UBS Survey of Global Collecting 2025, diffuso a ottobre, i giovani collezionisti non vedono più confini tra arte, sneakers, oggetti di design e asset digitali. Tutto convive in un unico ecosistema di identità, piacere e investimento. Il rapporto, firmato da Clare McAndrew, rivela che i collezionisti della Generazione Z destinano il 26% del proprio patrimonio ad arte e oggetti da collezione, la quota più alta tra tutte le generazioni. Ancora più sorprendente è il dato interno: il 56% di questa spesa è dedicato ai collectibles, rispetto al 41% della media globale dei grandi patrimoni. Nelle loro collezioni, quadri e sculture convivono con sneakers, borse di lusso, auto e orologi. È la fine della distinzione tra “arte alta” e “cultura pop”, e l’inizio di un collezionismo ibrido, in cui il gusto è fluido e la curatela è personale e performativa.
Se i Baby Boomer hanno dominato il mercato dell’arte classica e moderna, e i Millennials si sono distinti per l’interesse verso il design e la gioielleria, la Gen Z regna su quasi tutti gli altri settori: borse di lusso da collezione, sneakers da record, auto d’epoca, barche, jet privati e memorabilia. Non è solo una questione di consumo, ma di ridefinizione del concetto stesso di “conoscenza d’arte”. Come sottolinea la prefazione dello studio, stiamo assistendo a “un ampliamento della nozione di connoisseurship, in cui l’arte convive con il design, il lusso e la cultura visiva”. Un tempo marginale, oggi l’arte digitale è diventata strutturale. Tra i collezionisti con alto patrimonio netto, il 23% prevede di acquistare un’opera digitale nel prossimo anno, e il dato sale al 26% tra i Gen Z. Nel complesso, le opere digitali rappresentano ora il 13% delle collezioni totali, un balzo netto rispetto al 3% del 2024, trainato dal ritorno di interesse per l’arte generativa e le opere basate su intelligenza artificiale.
In più, questo segmento si distingue per una forte presenza femminile: il 32% delle donne Gen Z possiede almeno un’opera digitale, mentre quasi la metà delle donne Gen X non ne possiede alcuna. Un segnale che indica non tanto una nuova ondata speculativa, quanto una naturale familiarità con la proprietà virtuale. La vera rivoluzione, però, è di atteggiamento. Per la Gen Z, il collezionismo è sociale, performativo e autoreferenziale. Le opere non vengono solo appese alle pareti: vengono condivise, fotografate, postate. Secondo il rapporto, il 51% dei collezionisti ha acquistato opere via Instagram senza vederle dal vivo, e il 35% ha comprato direttamente tramite link sulla piattaforma. In altre parole, il centro del collezionismo si è spostato dalla galleria al feed digitale. Le fiere e le aste restano cruciali, ma la costruzione dell’identità passa ormai attraverso la visibilità e la connessione. Quello che emerge, conclude il rapporto, è un modello ibrido, parte investitore, parte curatore, parte influencer, che rappresenta il primo vero cambio di paradigma dai tempi della globalizzazione del mercato. Il prossimo passo non sarà la democratizzazione del collezionismo, ma la sua virtualizzazione: quando tutto può essere posseduto, condiviso e scambiato online, la vera opera d’arte è la rete di relazioni che la sostiene.
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