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«Natura morta» (1878 ca) durante l’intervento di pulitura

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«Natura morta» (1878 ca) durante l’intervento di pulitura

De Nittis en plein air: una spiga tra tela e telaio

Due restauri dell’Icr hanno permesso verifiche sulla tecnica pittorica del maestro pugliese. Il ritrovamento conferma la realizzazione a presa diretta di «Procella» (1868 ca), mentre «Natura Morta» (1878 ca) potrebbe essere uno dei primi esempi di collage della storia dell’arte moderna

Paola Iazurlo

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Il prossimo 25 ottobre presso la Pinacoteca Comunale Giuseppe De Nittis una mostra presenta al pubblico i due dipinti a olio su tela «Procella» (1868 ca) e «Natura morta» (1878 ca) recentemente restaurati dall’Istituto Centrale per il Restauro (Icr) nell’ambito di un progetto di ricerca sulla tecnica pittorica del maestro impressionista che vede la collaborazione tra Icr, Soprintendenza Abap per le province di Barletta - Andria - Trani e Foggia e Pinacoteca Comunale. La mostra illustra i primi risultati degli studi condotti in occasione del restauro.

L’intervento, eseguito dal Laboratorio Materiali dell’Arte Contemporanea dell’Icr tra dicembre 2023 e giugno 2024, è stato preceduto da una fase di studio da parte dei laboratori scientifici in seno all’Istituto e del Laboratorio di Diagnostica Beni Culturali (LabDia) di Spoleto tramite tecnologie prevalentemente non invasive per la caratterizzazione di materiali costitutivi e la comprensione del degrado. Si tratta di due capolavori all’interno della collezione barlettana, frutto del corposo lascito testamentario che la moglie dell’artista Léontine Lucile Gruvelle fece alla città natale del maestro. Attivo tra Italia, Parigi e Londra, Giuseppe De Nittis (Barletta, 1846-Saint-Germain-en-Laye, 1884) maturò un proprio stile personale di grande eleganza e vivacità espressiva, divenendo esponente di spicco a livello internazionale del rinnovamento artistico della seconda metà del XIX secolo.

«Procella» (57,5x91,5 cm) sintetizza le nuove ricerche sugli effetti luministici e sulla pittura di paesaggio a cui De Nittis si era dedicato già da giovanissimo, nell’ambito della frequentazione della Scuola di Resina. L’esecuzione in ambito italiano del dipinto sarebbe confermata dal soggetto, che sembra raffigurare un tratto di litorale pugliese nei pressi della foce del fiume Ofanto, non lontano da Barletta, e anche da alcuni dettagli tecnici riscontrati durante lo studio condotto in occasione del restauro, tra cui il bollo in ceralacca per l’esportazione. L’artista ha certamente lavorato en plein air, dipingendo sul posto «alla prima», ovvero in un’unica fase al di sopra di una tela industriale già preparata, aspetto che trova ora conferma dal sorprendente rinvenimento di una spiga di graminacea tra la tela e il telaio.

Eseguita alcuni anni più tardi, probabilmente durante il soggiorno londinese, la «Natura morta» (64x77 cm) è invece espressione del vivace clima culturale delle moderne capitali europee, aperto alle suggestioni della moda del Japonisme del tempo. Concepito come uno studio per una decorazione d’interno, il dipinto presenta una tecnica innovativa, per l’impiego dei colori metallici simil oro e argento e l’applicazione di una striscia di carta stampata, presumibilmente un ritaglio di carta da parati dipinta al centro. Tale elemento, che concretamente riproduce un kakemono piuttosto che fingerlo pittoricamente, permetterebbe di considerare l’opera come il primo collage nella storia dell’arte moderna anticipando di almeno tre decenni le sperimentazioni cubiste.

L’intervento di restauro, eseguito anche con la partecipazione degli studenti del IV anno della Scuola di Alta Formazione dell’Icr, è stato dettato dai gravi problemi conservativi prevalentemente a carico del supporto. Nella metodologia d’intervento particolare attenzione è stata posta al rispetto del principio del minimo intervento, per l’estrema fragilità della sottile tela industriale di supporto e l’elevata sensibilità dei materiali, nonché per l’importanza dei dati di tecnica che si intendeva salvaguardare. Ciò ha portato da subito a escludere operazioni estese e generalizzate, come lo smontaggio completo dei dipinti dal telaio e la foderatura del supporto. In entrambi i casi l’intervento ha permesso di approfondire la conoscenza dei materiali e delle procedure tecniche adottate dall’artista, nonché di chiarire il contesto di esecuzione dei dipinti, consentendo al tempo stesso di far luce sul più ampio quadro europeo dei prodotti per belle arti pronti all’uso ormai diffusamente commercializzati in Europa e ampiamente utilizzati dalle nuove generazioni di pittori.

«Procella» (1868 ca) di Giuseppe De Nittis. Foto: Claudio Santangelo, Icr

Paola Iazurlo, 23 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

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