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Sandro Botticelli, Ritratto ideale di dama (1475-1480 circa), dettaglio

Städelsches Kunstinstitut, Francoforte sul Meno

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Sandro Botticelli, Ritratto ideale di dama (1475-1480 circa), dettaglio

Städelsches Kunstinstitut, Francoforte sul Meno

«Dell’arte c’importa poco, per questo è vulnerabile alle fake news»: intervista a Federico Giannini

Nel suo nuovo libro «Vero, Falso, Fake. Credenze, errori e falsità nel mondo dell'arte» (Giunti, 2025), l'autore si interroga, attraverso episodi e casi eclatanti, sullo sfumato confine tra vero e falso che l'arte sembra abitare

Davide Landoni

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Cosa ti ha spinto ad approfondire il tema del falso nell’arte?
Una combinazione di elementi, direi. Anzitutto i danni provocati dalla disinformazione, argomento che, ovviamente, non riguarda soltanto l'arte: io ho cercato di offrire ai lettori un contributo attraverso il filtro della nostra materia. Sono poi temi che, da giornalista, ho affrontato più volte, quindi il libro è una sorta di sunto di un lavoro di controllo sulla disinformazione che la redazione di Finestre sull'Arte svolge da quando la testata è stata fondata. Aggiungerei poi la progressiva, costante, inarrestabile svalutazione del giornalismo culturale, ch'è minacciato non soltanto dalla disinformazione (è sempre esistita e sempre esisterà, in questo senso il libro non è consolatorio), ma anche dalla frammentazione, da un discorso pubblico che è sempre più pulviscolare, dalle modifiche delle abitudini del pubblico, dalle polarizzazioni, dal calo della soglia d'attenzione, dalla tendenza a trasformare qualunque esperienza culturale in un consumo rapido e superficiale: una situazione simile è un brodo di coltura perfetto per la disinformazione. E l'arte non è esente dal problema, anzi: laddove manca chi controlla, il problema cresce.

Nel libro vengono smontate convinzioni molto diffuse: c’è qualche mito che ti ha sorpreso per la sua persistenza?
Probabilmente quello del baldacchino di Bernini realizzato col bronzo ricavato dal Pantheon. Per sfatare definitivamente questo mito, che dobbiamo alla propaganda della Chiesa, s'è reso necessario uno studio recentissimo, un articolo scientifico di Louise Rice pubblicato nel 2008. Credo che oggi tanti siano al corrente del fatto che la Gioconda non è stata rubata da Napoleone, giusto per far l'esempio d'un altro mito piuttosto longevo, ma non sono altrettanto sicuro che altrettanti sappiano che la leggenda del bronzo del Pantheon fuso per consentire a Bernini di realizzare uno dei suoi capolavori sia stata praticamente costruita a tavolino.

Pensi che il mondo dell’arte si presti più di altri alla dinamica delle fake news? In fondo, molte opere devono la loro fama a costruzioni narrative che talvolta non richiedono ancore alla realtà.
Un'opera non è mai neutrale. E questo a prescindere da quali siano le intenzioni dell'artista. È vero dunque che ogni opera porta con sé una costruzione narrativa e spesso a questa costruzione è dovuta la sua fama. Ma non è questo l'unico motivo per cui nel nostro settore è più facile cadere nella disinformazione. Una ragione importante risiede nelle reazioni emotive che le opere d'arte innescano, e la disinformazione, al pari della propaganda, si diffonde facendo leva sulla nostra emotività, sui nostri pregiudizi di conferma, sulle nostre reazioni, sui nostri comportamenti. Questo tuttavia vale per qualunque settore: l'arte è particolarmente vulnerabile proprio perché più d'altri settori si presta a cadere vittima di queste dinamiche, per le ragioni che illustro nel libro. C'è poi da considerare un altro aspetto rilevante: dell'arte c'importa poco. Per gran parte dei media generalisti, parlare d'arte equivale a parlare di tempo libero (non sono pochi i quotidiani che relegano tutto alla sezione "Cultura e tempo libero", così spesso viene chiamata, ch'è percepita come quella meno importante del giornale). Di conseguenza, non è raro che le redazioni non abbiano nel proprio organico figure esperte del nostro settore, che avrebbero le competenze per bloccare la disinformazione (che spesso passa anche attraverso le testate più autorevoli: purtroppo può capitare): dati questi presupposti, è naturale che le maglie dei controlli s'allarghino e la disinformazione riesca a superare i controlli. Non aiutano poi i social, dove parte della comunicazione dell'arte è ormai spesso demandata a figure totalmente estranee al giornalismo e a qualunque ordine professionale, abituate a sfumare i confini tra informazione e pubblicità, che operano senza alcun tipo di controllo e di conseguenza possono diffondere qualsiasi notizia e qualsiasi informazione, anche la più inesatta, senza che ci sia un vaglio prima della pubblicazione.

Federico Giannini, autore di «Vero, Falso, Fake. Credenze, errori e falsità nel mondo dell'arte» e direttore responsabile di Finestre sull'Arte

Federico Giannini, «Vero, Falso, Fake. Credenze, errori e falsità nel mondo dell'arte»

Seguendo questa linea, nel testo sono citate alcune leggende artistiche che, pur false, hanno ispirato creatività o attrattività turistica. Puoi fare un esempio di un mito ‘positivo’ e di uno ‘pericoloso’?”
Ragionando da giornalista (come sono abituato a fare, purtroppo non mi riesce pensare come fossi un assessore), credo che non ci sia un mito positivo. Per quanto mi riguarda, un mito che altera la realtà non è mai innocuo. È sempre una distorsione. Non riesco a concepire l'idea di continuare a raccontare una favola perché magari la favola ha un potere attrattivo nei riguardi d'un museo o d'una destinazione turistica più forte rispetto alla verità.

Secondo la tua esperienza, come si consolida un falso mito nell’arte? È casualità, desiderio di credere o una manipolazione collettiva? Ci sono degli esempi emblematici in tal senso?
Di solito un mito è più interessante, o quanto meno più bello da sentirsi raccontare, rispetto alla verità. Oppure, molto banalmente un mito rafforza il nostro pregiudizio di conferma, quel meccanismo psicologico per cui siamo più portati a credere a una storia che presumiamo possa convalidare, avvalorare una nostra visione, una nostra idea. Non c'è mai casualità. Pensiamo al mito della Gioconda rubata da Napoleone: è una bufala persistente perché avvalora una nostra idea, quella secondo cui Napoleone è stato un ladro di opere d'arte. È vero che le armate francesi hanno sottoposto una vasta porzione del territorio italiano a requisizioni sistematiche, ma non è vero che Napoleone ci ha rubato la Gioconda. Ecco, la disinformazione germoglia su questo terreno, quel terreno che sta a metà strada tra la verità e la finzione. Ricordiamoci che una bufala, per attecchire, dev'essere credibile. Se dicessimo che la Gioconda è stata dipinta da un extraterrestre, difficilmente il mito si diffonderebbe. Se invece costruiamo una bufala che si lega a una verità storica, quella delle spoliazioni napoleoniche, allora il mito ha molte più possibilità di persistere.

Gli errori e le falsità spesso sopravvivono alle correzioni storiche. Cosa ci dicono sulla nostra percezione dell’arte e della memoria culturale?
Che le favole sono più affascinanti della verità. È sempre stato così.

Succede anche che una convinzione diffusa possa essere completamente smentita ma restare radicata nell’immaginario collettivo?
Certo, è pieno di gente che crede che Simonetta Vespucci sia stata davvero la musa di Botticelli. Continuano a scriverci libri, a girarci dei film. Anche qui c'è un fondo di verità, ma c'è da tener conto che spesso spiegare come stanno le cose è più complicato che raccontare la favola.

I miti nell’arte sono un retaggio del passato o credi possano svilupparsene di nuovi ancora oggi?
Oggi è più difficile, ma non è impossibile. Basta pensare a quanti politici ancora dicono che l'Italia detiene il 50, il 60, il 70 per cento dei beni culturali del mondo. Qualche anno fa venne girato anche uno spot istituzionale che ripeteva questa stupidaggine. Questo è un esempio di mito che s'è sviluppato di recente. Affinché si sviluppi una credenza, ancorché priva di qualsiasi fondamento, non basta molto. Prendiamo questo caso: è nato da un'informazione contenuta in un rapporto sul traffico illecito di beni culturali degli anni Novanta che è stata distorta e mal interpretata. Probabilmente senza dolo, ma questo non importa: non sempre le bufale nascono con intenti malevoli. Accanto alla disinformazione esiste la misinformazione, ovvero la diffusione di notizie false senza che ci fosse l'intenzione d'arrecare alcun danno. E può accadere per i più svariati motivi: travisamenti, omessa verifica, distrazione, incompetenza. Il problema è che una volta che l'informazione viene pubblicata non è più sotto il nostro controllo. E a quel punto può accadere di tutto, com'è successo col mito dell'Italia che ha la metà dei beni culturali dell'intero globo terracqueo: è nato tutto da un dato reale ch'è stato però travisato. Il paradosso apparente è che oggi forse è meno facile rispetto anche soltanto a dieci-quindici anni fa: è vero che sui social la disinformazione corre alla velocità della luce, ma anche il debunking, nonostante sia strutturalmente condannato ad arrivare sempre dopo la diffusione di una notizia falsa, può viaggiare a velocità che prima erano sconosciute e dunque impedire che una notizia falsa faccia troppi danni.

Gian Lorenzo Bernini, Baldacchino in marmo, bronzo, calcestruzzo, doratura. Basilica di San Pietro, Città del Vaticano, Roma

I social e i media trasformano storie e leggende in fenomeni virali. Come cambia la nostra responsabilità di lettori e spettatori in questo contesto?
Cambia profondamente nel momento in cui non siamo più soggetti passivi. O meglio: siamo sempre stati soggetti attivi. Non ci limitiamo né ci siamo mai limitati a recepire le notizie: anche prima dei social le condividevamo e le commentavamo coi nostri amici, coi nostri colleghi, coi nostri familiari. Il problema è che prima il danno che potevamo fare era limitato. Adesso abbiamo un potenziale di diffusione che prima dei social non esisteva. Non ci rendiamo conto di quanti danni possiamo fare con un clic, perché nel momento in cui stiamo condividendo una notizia falsa, un video di propaganda mascherato da contenuto disinteressato, o una pubblicità che si cela sotto le spoglie di un consiglio genuino, non stiamo più parlando soltanto coi nostri amici e coi nostri parenti: ci stiamo rivolgendo a una platea che ha dimensioni potenziali estremamente più vaste. Ricordiamoci che gli algoritmi dei social oggi funzionano secondo il principio delle camere di risonanza: vale a dire che la piattaforma sarà incline a mostrare il mio contenuto a chi ritiene possa gradirlo, indipendentemente dal fatto che la notizia che abbiamo deciso di condividere sia vera o falsa. Se io sono un terrapiattista radicale, la mia bacheca social tenderà a mostrarmi i contenuti prodotti dai miei consimili, con lo spiacevole risultato che i miei pregiudizi tenderanno a rafforzarsi. Ai social non interessa promuovere il dialogo, lo scambio d'idee, il confronto tra opinioni diverse. Anzi, per i social sarebbe controproducente, perché il dialogo è per sua natura operazione complessa e lenta: una piattaforma che intende massimizzare le interazioni, la raccolta dati e il nostro tempo di permanenza sui social non può permettersi che l'utente indugi troppo a lungo su di un contenuto. Ecco perché tendiamo a vedere contenuti che confermano il nostro modo di vedere le cose, oppure che generano reazioni forti. Certo, poi, che un confronto può emergere, ma di solito è un'eccezione. Il social preferisce che vediamo il maggior numero di contenuti possibili nel minor tempo possibile, perché a oggi, per come sono strutturati i social, più contenuti consumiamo, più pubblicità vediamo. I social guadagnano sulla nostra superficialità. Ecco, in un ecosistema del genere, che qualche anno fa forse sarebbe stato definito distopico, la responsabilità ricade anche su noi lettori, noi utenti: dobbiamo renderci conto che ogni secondo che passiamo a vedere un video su di un social, ogni clic, ogni condivisione, ogni movimento che facciamo sulle piattaforme ha un peso specifico importante.

Il libro, per come è strutturato, si configura anche come una “guida” per orientarsi tra verità e falsità nel mondo dell’arte. Puoi anticiparci qualche consiglio?
Non fidarsi troppo del sensazionalismo, seguire soltanto soggetti affidabili, diffidare dei contenuti che fanno leva sull'emotività, prestare attenzione alle fotografie (specialmente con l'intelligenza artificiale è facile manipolarle o costruirle di sana pianta in modo che appaiono realistiche), condividere una notizia solo se si è sicuri di averla verificata bene, rendersi conto che la disinformazione esisterà sempre e occorre accettarla, ma un atteggiamento vigile e attento può far la differenza per contenerne la diffusione.

Davide Landoni, 16 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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