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La Pala di Santa Cecilia di Luca Signorelli, 1516, prima e dopo il restauro

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La Pala di Santa Cecilia di Luca Signorelli, 1516, prima e dopo il restauro

Deposta la corona, la Santa Cecilia che piaceva a Hitler ha recuperato la paternità

Il restauro ha consentito di attribuire a Signorelli la Pala di Città di Castello (Pg) fino ad oggi considerata di mano di un seguace

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Laura Lombardi

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Prosegue fino al primo giugno la mostra dossier «Un Signorelli ritrovato» con cui la Pinacoteca di Città di Castello (Pg) presenta il restauro della Pala di santa Cecilia. A promuovere con convinzione l’intervento, trovando il finanziamento dell’Università eCampus tramite Art Bonus, è stato il ricercatore  Giuseppe Sterparelli in accordo con Tom Henry, professore emerito di Kent University e grande esperto di Luca Signorelli, per verificare un’ipotesi fino ad ora per molti poco credibile, ovvero che l’opera, attribuita al seguace di Signorelli Pietro Baldinacci, pittore egubino indicato da Mario Salmi nel 1923, sia invece da ascrivere alla produzione matura del maestro cortonese, legato alla città umbra fin dagli anni giovanili: a Città di Castello Signorelli esordì, come allievo di Piero della Francesca, e qui perfezionò, all’ombra della famiglia Vitelli, strettamente legata ai Medici, la «bizzarra e capricciosa invenzione» che gli ascrisse Giorgio Vasari.

A giustificare il giudizio di Salmi, condiviso da altri storici dell’arte tra cui Alessandro Marabottini e Pietro Scarpellini, erano le molte ridipinture e soprattutto il forte cambiamento che la pala subì nel 1658 quando il perimetro della Chiesa di Santa Cecilia in cui si trovava fu del tutto mutato dall’unione di due conventi, Santa Cecilia e il convento del Paradiso. Smembrata dalla sua predella la pala fu inglobata in una gigantesca macchina d’altare barocca, con l’aggiunta di una piccola edicola, di tre figure di santi; furono inserite anche parti del tutto incongrue per mano di dilettanti, forse le monache stesse del convento. La nudità del Bambino fu in parte coperta, così come i piedi della Vergine occultati da calzature posticce, mentre sul suo capo era una pesante aureola di condotta molto grossolana: aggiunte che sembrano rispondere in maniera ingenua ai dettami imposti dal Concilio di Trento.

Già all’inizio degli anni Novanta Laurence Kanter e Claire van Cleeve si erano interrogati sulla necessità di indagare il dipinto ma solo nel 2012, al tempo della mostra dedicata a Signorelli tra Orvieto, Città di Castello e Perugia, di cui Tom Henri era cocuratore, si era fatto un passo avanti. Raffaele Caracciolo, infatti, nel redigere la scheda del dipinto aveva analizzato con attenzione quelle che parevano decorazioni sul lembo della veste di santa Caterina per poi convincersi che quei caratteri erano l’anagramma del nome di Luca (‘LV-CA’) e l’anno di esecuzione, il 1516.

Un’immagine scattata durante il restauro della Pala di santa CeciliaFoto: Julian Biagini

Il recente restauro multidisciplinare che ha coinvolto anche Cnr e Università di Perugia, condotto da Paolo Pettinari per la pellicola pittorica, da Marco Santi per il supporto ligneo, con le indagini scientifiche di Francesca Rosi, sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria, non solo ha confermato che quelle scritte sono cinquecentesche, ma ha anche svelato parti finora quasi invisibili del dipinto rendendo più chiara l’attribuzione all’artista.

L’azzurro del cielo è riemerso letteralmente dalla coltre opaca dello sfondo, il manto della Vergine ha ritrovato il blu notte tipico delle Madonne di Signorelli, lo sguardo di santa Cecilia, figura dai tratti finora molto dimessi, è tornato più vivo, come pure di tutt’altro aspetto risulta san Francesco, le cui stimmate erano segnate da un squarcio del supporto ligneo. Notevoli finezze, per esempio nella resa dei capelli in controluce o nella fluidità dei panneggi, rivelano una mano più esperta e questo aprirà certamente un dibattito riguardo il dipinto

Per volere del primo direttore Vivant Denon (uomo di fiducia di Napoleone) la pala era stata destinata al Louvre, ma disguidi di trasporto, legati alle sue notevoli dimensioni (due metri per tre), ne impedirono la partenza nel 1812. La predella fu invece ritrovata dai Monuments men nel 1945 in una miniera abbandonata in Austria fra i capolavori destinati al museo di Hitler. Passata sul mercato, viene acquistata da Walter Chrysler per destinarla al suo museo ma, dopo la precoce scomparsa del magnate, torna all’asta da Sotheby’s nel 1989 dove se l’aggiudica la galleria londinese Matthiesen; passa poi alla Fondazione Crt di Torino e infine si ricongiunge alla pala, conservata nella Pinacoteca tifernate dal 1912. Una ricomposizione che resta parziale poiché nel 1986 era stata trafugata la tavoletta con san Michele Arcangelo.

Un dettaglio della Pala di Santa Cecilia di Luca Signorelli, 1516, dopo il restauro

Un dettaglio della Pala di Santa Cecilia di Luca Signorelli, 1516, dopo il restauro

Laura Lombardi, 05 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

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