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Alla Galleria Lombardi di Roma, la mostra «Segni dell’anima #2» ripercorre l’evoluzione dell’artista attraverso 35 opere dagli anni Cinquanta ai Duemila
- Monica Trigona
- 12 dicembre 2025
- 00’minuti di lettura
Carla Accardi, «Rossonero», 1991
Courtesy of Galleria Lombardi
Dove nasce il segno: il viaggio inesauribile di Carla Accardi
Alla Galleria Lombardi di Roma, la mostra «Segni dell’anima #2» ripercorre l’evoluzione dell’artista attraverso 35 opere dagli anni Cinquanta ai Duemila
- Monica Trigona
- 12 dicembre 2025
- 00’minuti di lettura
Monica Trigona
Leggi i suoi articoliContinua alla Galleria Lombardi di Roma il ciclo di mostre-studio sui protagonisti dell’arte astratta italiana del secondo ’900. Fino al 24 gennaio è di scena Carla Accardi, con la mostra «Segni dell’anima #2», con cui si completa il dittico espositivo, che ha visto, come prima atto, la mostra «Antonio Sanfilippo. Segni dell’anima #1», chiusa a novembre. Un affondo quindi sulla coppia d’arte e di vita, essendo stati sposati dal 1946 al 1964. Nelle due sedi contigue della galleria di Lorenzo ed Enrico Lombardi, quella primaria e Lombardi Project, sono allestite 35 opere dagli anni Cinquanta a primi Duemila della pittrice nata a Trapani nel 1924 e morta a Roma nel 2014, in un percorso che attraversa la sua poetica del segno: una poetica che ha reso l’artista figura centrale dell’astrattismo europeo della seconda metà del XX secolo e inizio XXI secolo. L’avventura artistica di Accardi e Sanfilippo nel «segno» costituisce infatti uno degli episodi più significativi dell’arte italiana della seconda metà del Novecento. Con le sue opere (su tela, carta e sicofoil) l’artista ha eretto un monumento alla forma primordiale del segno, trasformandolo in un linguaggio senza tempo, pulsante di vita. La doppia esposizione da Lombardi ruota intorno a opere emblematiche come «Blu-verde» (1964), «Segni grigi» (1972), «Rossonero» (1991) e «Rossoargento» (2001), titoli che già evocano spirito e modi di concepire il segno strutturante e la dimensione cromatica, accesa da contrasti e dissonanze. Scrive Guglielmo Gigliotti in catalogo: «Quei grafemi, quella linea che torna su sé stessa in onde e volute, a tracciare arabeschi e labirinti, come a intercettare la struttura segreta delle cose, la trama invisibile della materia, la ragnatela dell’universo o le ramificazioni dell’inconscio, sono la confessione che solo la poesia può sconfiggere il dolore, e che la linea, se lasciata libera di danzare, sogna anche per noi. (…)». Per concludere: «In principio fu il segno, e quel principio non si esaurì mai. Le opere in mostra, tra dipinti e disegni, manifestano proprio ciò. Freschezza, immediatezza, gioco della sperimentazione, all’insegna di una sintesi di libertà e necessità».