Mai legatosi veramente a una qualche corrente artistica (nonostante il suo nome sia stato associato all’Arte povera o alla Pittura analitica), Giorgio Griffa (Torino, 1936), dagli anni ’60 ad oggi ha sviluppato una sua personale ricerca in cui la pittura, a dispetto di forma e contenuto, ha acquisito un ruolo dominante, pur semplificata al massimo. Devoto alla materia e alla sua «intelligenza», dell’artista torinese sono assai noti i caratteristici segni elementari che hanno dato l’avvio a una stagione che non conosce interruzioni e che prosegue con estrema coerenza.
Il Castello di Miradolo dal 23 marzo al 25 dicembre celebra la sua opera con la mostra prodotta dalla Fondazione Cosso e dalla Fondazione Giorgio Griffa, curata da Giulio Caresio e Roberto Galimberti, «Giorgio Griffa. Una linea, Montale e qualcos’altro», titolo che ammicca al percorso nell’antica dimora della famiglia Cacherano di Bricherasio e nel parco circostante.
«Credo che la relazione dei lavori con gli spazi interni ed esterni del castello sia una delle chiavi di lettura di questa mostra. Così come il poter girare liberamente tra gli spazi e le sezioni, un po’ da flâneur, e realizzare ognuno il suo percorso», spiega Giulio Caresio. Proprio negli spazi esterni sono allestiti interventi concepiti per il luogo, a partire da «Sei colori», tre grandi tele del 2023 installate su imponenti alberi che nel corso della mostra si arricchiranno dei segni del tempo. Una stretta serra accoglie sul suo lato più lungo 18 tele che fanno parte del ciclo «Canone aureo», iniziato negli anni Duemila, in cui l’utilizzo del numero irrazionale è sintomatico del superamento della ragione a favore di un viaggio verso l’inspiegabile, l’ignoto, da sempre ambito dell’indagine artistica in senso lato. Rimanendo nell’area verde si è sorpresi da una linea frammentata di ceramiche bianche e blu che collega una farnia caduta al castello e che instaura una silenziosa e poetica relazione con il contesto.
All’interno del castello si respira un’atmosfera più intima e raccolta. Le stanze storiche sono allestite con lavori in cornice su carta e tela che mostrano differenti cicli dell’autore mentre nell’altra ala, al primo piano, si trovano una serie di tele dipinte di bianco degli anni ’80 immerse in un’inedita luce verde proveniente dal parco. «A fine anni ‘70 Giorgio si trovò a dipingere in una casa nel bosco e, a causa della luce verde dominante, si rese conto di non riuscire a gestire i colori come suo solito. Questa limitazione fu la scintilla da cui nacque una serie di tele dipinte con il solo bianco, ed è bello che qui ne vengano esposte alcune in una situazione simile a quella che le ha originate», racconta ancora Caresio.
In un continuo richiamo tra spazi interni ed esterni, la mostra si arricchisce di una suggestiva installazione composta da leggere tele trasparenti che occupano gli spazi dell’atelier della contessa Sofia. L’opera, parte di un ciclo pittorico iniziato negli anni Ottanta, «Alter ego», richiama una poesia composta nel 1971 da Montale. Quest’ultimo era stato anche un artista e con i suoi versi aveva sottolineato il suo originale modus operandi in cui supporti di fortuna e materiali di recupero si trasformavano in attrezzi del mestiere. «L’arte povera», titolo del breve componimento, diventa spunto per instaurare un dialogo con il poeta genovese, una di quelle rare figure con le quali Griffa condivide sincera affinità.
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