«Ecce Homo» di Orazio de Ferrari

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«Ecce Homo» di Orazio de Ferrari

Ecco come Genova immaginava l’Oriente tra Cinque e Seicento

Nel Palazzo Nicolosio Lomellino oltre 50 opere tra dipinti, ceramiche, tappeti e libri illustrano il complesso rapporto, tra paura e ammirazione, con la figura del «Turco»

Fino al 26 gennaio 2025 il Palazzo Nicolosio Lomellino di Genova ospita la mostra «Ottomani, Barbareschi, Mori e altre genti dell’arte a Genova. Fascinazioni, scontri, scambi», a cura di Laura Stagno e Daniele Sanguineti in collaborazione con Valentina Borniotto. Nel Palazzo dei Rolli sono riunite oltre cinquanta opere che raccontano visivamente la percezione dell’immagine degli Ottomani nell’arte genovese, indagando il complesso rapporto, articolato in un dualismo tra ammirazione e paura, con la figura del «Turco», termine con il quale si indicavano in Occidente, nella prima età moderna, tutti i popoli che abitavano i territori dell’Impero Ottomano.

Strutturata intorno a due filoni narrativi principali, la mostra evidenzia attraverso le opere e i manufatti cinquecenteschi la stagione di diretta conflittualità che caratterizzò i rapporti con l’Oriente nel corso del XVI secolo, mentre le raffigurazioni seicentesche di dignitari orientali in abiti sontuosi costituiscono tra le più significative attestazioni della curiosità e della fascinazione dei genovesi per questo mondo lontano ma strettamente connesso alla Superba mediante rapporti e scambi commerciali. Combattenti, schiavi, sultani sono dunque i protagonisti delle composizioni che affollano i diversi scenari, che spaziano dalla corte di Costantinopoli al porto di Genova, raffigurati nei numerosi dipinti esposti, prestiti di privati, fondazioni e musei, tra cui il Louvre di Parigi, il Museo di Capodimonte di Napoli e le Gallerie dell’Accademia di Venezia. Un ruolo predominate nel percorso espositivo è rivestito dalle opere pittoriche di alcuni tra più importanti artisti attivi nel contesto genovese, da Paggi a Carlone, da Orazio De Ferrari a Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto, fino a Giovanni Bernardo Carbone e Domenico Parodi, che interpretano i diversi aspetti del tema dialogando con opere di artisti di diversa provenienza, quali il capolavoro dedicato da Paolo Veronese alla vittoria di Lepanto.

Ai dipinti si alterneranno una varietà di altri manufatti artistici, quali un vaso in ceramica di produzione ottomana con elaborati decori blu (la cui tipologia ha influenzato le coeve maioliche liguri), un tappeto turco di fine Cinquecento, ma anche libri e giochi da tavolo del XVI e XVII secolo che illustrano i costumi dei Turchi, e cartoni per arazzi eseguiti da Luca Cambiaso e dai suoi collaboratori. La rassegna, partendo dalla premessa della ricca rete di rapporti di Genova con il mondo islamico nell’età medievale, richiamata in mostra da una teca d’avorio di manifattura arabo-sicula del XII secolo, si concentra sull’età moderna e sulle diverse modalità con cui, in contesti diversi, sono state proposte in città immagini di Ottomani, Barbareschi e Mori. Indagando la lunga storia di presenze multietniche in città, la mostra, come commentano i curatori, si ispira idealmente all’eredità di Luigi Centurione Scotto, proprietario del Palazzo nel Seicento, e alla sua apertura verso realtà lontane documentata dagli affreschi che fece realizzare nella sua dimora di Strada Nuova.

«La Madonna del Rosario e la battaglia di Lepanto sul fondo» di Giovanni Battista Paggi, Genova. Asp Emanuele Brignole - Albergo dei Poveri

Margherita Fochessati, 11 novembre 2024 | © Riproduzione riservata

Ecco come Genova immaginava l’Oriente tra Cinque e Seicento | Margherita Fochessati

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