«Non è un’immagine che cerco. Non un’idea. È un’emozione che voglio ricreare». Louise Bourgeois (Parigi, 1911-New York, 2010) ha ripetuto questo concetto un’infinità di volte. Eppure, è proprio un’immagine ad averla resa immortale. Non certo la sua più riuscita, né la sua più sperimentale. Anzi, se proprio bisogna essere sinceri, si potrebbe considerarla persino banale. Quello che le ha garantito un posto nell’empireo è «Spider», una creazione che risale alla metà degli anni Novanta quando Louise era già ben oltre gli ottanta.
A dire il vero, i primi «ragni» li realizzò nel 1947 su fogli di carta riflettendo sulla figura della madre (era scomparsa nel 1932 e poco dopo l’artista tentò il suicidio), tentacolare protettrice. Rimasta per quasi mezzo secolo rintanata nei taccuini, spider-woman è riapparsa con straordinaria veemenza trovando ospitalità nei luoghi più prestigiosi al mondo. «Maman», il ragno in acciaio alto nove metri e largo dieci realizzato nel 1999 per la Turbine Hall alla Tate Modern di Londra, è stato replicato in bronzo per l’Ermitage di San Pietroburgo, la National Gallery of Canada di Ottawa e il Guggenheim di Bilbao. Straordinaria operazione di marketing, l’ingombrante ragnone appare in tutte le mostre di Bourgeois con un gigantismo che sembra aver trovato ispirazione in Claes Oldenburg che ingrandiva a dismisura gli oggetti domestici.
Anche il mercato impazzisce per l’aracnide e l’edizione 2022 di Art Basel è passata alla storia per i 40 milioni di dollari pagati per l’acquisto di uno «Spider» in acciaio alto poco più di tre metri. L’opera è stata dichiarata venduta da Hauser & Wirth, la galleria che di Bourgeois gestisce anche l’«estate» e certamente ha avuto un ruolo essenziale nella diffusione e nella realizzazione dei grandi ragni. Non a caso quello venduto a Basilea proveniva dalla collezione di Ursula Hauser, cofondatrice della galleria.
Tornando alla scultrice franco-americana, va detto che senza i ragni i fatturati sarebbero infinitamente più contenuti e nessuno parlerebbe di performance stellari. Del resto, il record di 32,8 milioni di dollari (è anche il prezzo più alto mai raggiunto dalla scultura di una donna) lo ha stabilito il 18 maggio 2023 da Sotheby’s a New York proprio «Spider» del 1996, bronzo in sei esemplari che misura 337,8 x 668 x 632,5 cm rimasto comunque al di sotto delle previsioni più ottimistiche che avevano ipotizzato un’aggiudicazione di 40 milioni di dollari. Poco male tenendo conto che lo stesso lavoro, l’8 novembre 2011 da Christie’s a New York, aveva cambiato proprietario per 10,7 milioni di dollari garantendo così un guadagno annuo pari al 17%. Sebbene nei primi venti risultati di Bourgeois ben diciotto siano occupati dalle sculture dei ragni, la sua produzione è ovviamente molto più articolata rispetto a un’artista attualissima che si pone come punto di riferimento essenziale del dibattito contemporaneo.
La vera anima di Louise non va ricercata nel monumentalismo ridondante, bensì in un’indagine complessa e articolata dove si attua una metamorfosi delle forme plastiche soggette a continue sollecitazioni che coinvolgono problematiche connesse con la memoria, l’infanzia, il femminismo, l’ambivalenza e la sessualità. Tutti aspetti che sono diventati ricorrenti e costituiscono l’amalgama intorno a cui si snoda buona parte della ricerca di oggi. È lei la madrina delle ultime due Biennali, dove chissà perché non è stata coinvolta, e sono molte le sue seguaci, da Kiki Smith a Sarah Lucas, sino a Berlinde De Bruyckere. Forse non è un caso che la personalità di Louise Bourgeois sia stata rimossa per molti anni (le hanno fatto compagnia in molte tra cui Yayoi Kusama così come, stando alle italiane, Carol Rama e Maria Lai), per poi essere riscoperta solo nel 1982 da una grande mostra al MoMA di New York. Ma la consacrazione è avvenuta solo negli anni Novanta in coincidenza con l’affermazione del Post Human che poneva al centro la trasformazione del corpo.
Così, nel 1992 ha partecipato a Documenta di Kassel e nel 1993 ha rappresentato gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia. Qualche anno dopo, nel 1997 è la Fondazione Prada di Milano a dedicarle una grande mostra con Miuccia Prada e Patrizio Bertelli che iniziavano la loro avventura collezionistica in un mercato che appariva ancora abbordabile, tenendo conto che quell’anno il top price era rappresentato da «Untitled», una scultura del 1956 in legno e metallo venduta da Christie’s a New York per 330mila dollari. Il legame con l’Italia è stato molto forte sin dal 1967 con i soggiorni a Pietrasanta e Carrara per la realizzazione di molte sculture in marmo e bronzo. Ora, senza particolari ragioni né anniversari in vista, è stato proprio il Bel Paese a proporre un Grand Tour dedicato a Louise Bourgeois con tre mostre che percorrono tutta la Penisola partendo da Firenze, con il doppio appuntamento al Museo del Novecento e al Museo degli Innocenti (sino al 20 ottobre), per poi trasferirsi alla Galleria Borghese di Roma (sino al 15 settembre) e allo Studio Trisorio di Napoli (sino al 31 ottobre).
L’appuntamento più importante è quello con l’istituzione che ospita Bernini e Canova, dove l’artista franco-americana si trova perfettamente a suo agio. «L’inconscio della memoria», questo è il titolo della rassegna, presenta venti opere e accanto a un grande «Spider» collocato nel parco della Villa, è possibile ripercorrere le tappe di un’indagine che prende le mosse nella seconda metà degli anni Quaranta assumendo una progressiva ambiguità suggerita da forme biomorfe. Questo accade nella serie «Janus» degli anni Sessanta che fa riferimento al dio Giano, dove la rappresentazione plastica va incontro alla fluidità dell’identità e dell’esistenza evocando una possibile fusione tra maschile e femminile. Ci sono poi le «Cells» concepite negli anni Novanta, certamente tra gli esiti più importanti raggiunti dall’artista, che creano spazi architettonici dell’esistenza dove si accumulano svariati elementi di natura simbolica ogni volta differenti.
È intorno alla magia di oggetti ambivalenti che si può ancora realizzare una collezione di Bourgeois; in tal senso appare significativa l’aggiudicazione di «Germinal», un piccolo bronzo del 1967 caratterizzato da elementi in formazione che il 15 novembre 2023 da Phillips a New York è stato venduto per 152mila dollari. Non vanno nemmeno trascurate le gouache su carta realizzate dalla novantenne Bourgeois ed esposte a Firenze e a Napoli. Sono lavori intimi dove talvolta sembra d’intravedere in filigrana Egon Schiele. Accade per esempio osservando «Pregnant Woman» creato nel 2009, l’anno prima della sua scomparsa, che il 7 marzo 2024 nella vendita londinese di Sotheby’s ha raggiunto 95mila sterline.
Il progetto delle mostre italiane è stato realizzato con la collaborazione della Easton Foundation di New York voluta dall’artista per preservare la sua eredità, con all’interno il suo archivio, oltre a un prezioso nucleo di opere. Insieme a Hauser & Wirth, rappresenta un punto di riferimento anche per i collezionisti e per coloro che hanno la necessità di una documentazione sulle sue opere.
Presente nelle collezioni pubbliche e private internazionali (tra i suoi sostenitori ci sono François Pinault e Dakis Joannou), in Italia non c’è solo Prada e di Bourgeois si può ammirare una poetica scultura in marmo rosa nel contesto del Castello di Ama, un borgo di origini settecentesche nel Chianti dove, con la consulenza della Galleria Continua, Marco Pallanti e Lorenza Sebasti hanno realizzato una significativa collezione ambientale che spazia da Daniel Buren a Giorgio Andreotta Calò. Piuttosto imprevedibile è infine la presenza di Bourgeois nel Parco di Scultura di Origgio, un piccolo centro in provincia di Varese, dove grazie alla fonderia di Walter Vaghi e all’amicizia con Giovanni Rizzoli, l’artista ha donato «The Couple», un’emblematica scultura in acciaio con due corpi fusi insieme che oscillano tra le fronde di un albero diventando parte del contesto naturale. Meglio, molto meglio di «Spider».
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