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Sheng-Wen Lo, «Diergaarde Blijdorp Rotterdam, The Netherlands», 2016, Archivio di Stato

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Sheng-Wen Lo, «Diergaarde Blijdorp Rotterdam, The Netherlands», 2016, Archivio di Stato

Exposed 2025, il lato profondo dell’immagine

Dietro le quinte della seconda edizione del festival, con dodici mostre di sedici artisti da dodici Paesi, un nuovo quartier generale, incontri, talk e un premio

Tutto pronto per la seconda edizione di Exposed Torino Foto Festival, in programma dal 16 aprile al 2 giugno. Sette sedi espositive (Accademia Albertina, Archivio di Stato, Camera, Gallerie d’Italia-Torino, Gam, Ogr e Palazzo Carignano) e un nuovo tema «Beneath the Surface» (Sotto la superficie). Dodici mostre, tra personali e collettive, di sedici artisti da dodici Paesi (Italia, Germania, Regno Unito, Svizzera, Stati Uniti, Taiwan, Hong Kong, Bolivia, Congo, Zimbabwe, Sud Africa e Palestina), più conferenze, incontri, un premio e un nutrito public program. Il progetto conferma la sua natura diffusa e l’indagine a tutto campo sulla fotografia contemporanea. Ce lo presenta Salvatore Vitale, direttore artistico del festival insieme a Menno Liauw

Come si presenta la seconda edizione di Exposed? 
L’idea rimane quella di creare un festival che possa essere inglobante e costruito su misura per la città, soprattutto operando a Torino, che è culturalmente già molto ricca. Non vogliamo creare qualcosa che atterri come una nave aliena, ma collaborare con chi già produce cultura e lo fa anche molto bene. È fondamentale unire le forze per soddisfare pubblici diversi. A Torino sin dall’inizio abbiamo avuto un dialogo aperto con le istituzioni che operano in città, sia pubbliche che private, per capire quali fossero le visioni già presenti e che cosa potessimo apportare in più. 

Ci sono novità da un punto di vista progettuale e di visione, maturate dall’esperienza dell’anno scorso? 
Il festival prosegue il suo progetto di ricerca, focalizzandosi su quello che è il panorama della fotografia contemporanea, che significa guardare al futuro ma costruendo dal passato, perché è proprio il passato che ci dice dove la fotografia stia andando oggi. Ci sono però alcune novità importanti, a partire dall’avere creato un quartier generale della manifestazione: l’Accademia Albertina sarà il centro pulsante, uno spazio aggregativo e di incontro sia per il pubblico, sia per i professionisti che verranno a Torino, con mostre e un programma di talk. L’altra grande novità è che abbiamo reso il festival quasi completamente gratuito. È centrale per noi che la cultura sia aperta a tutti, accogliendo anche chi non è vicino alla fotografia. 

Parliamo del tema dell’edizione, «Beneath the Surface» (Sotto la superficie). 
Il tema riflette la voglia di andare a guardare in maniera approfondita, di non fermarsi all’apparenza ma scavare per comprendere la complessità delle cose, del mondo in cui viviamo. Questo si connette a un’idea di materialità, cioè di come la materia, in una dimensione sempre più digitale, possa darci degli spunti per capire come i sistemi e la società stiano cambiando. Gli artisti invitati parlano del rapporto umanità/natura, umano/ non umano interrogando il mondo in cui viviamo, con sguardi sia a livello tecnologico sia umanistici, con modi diversi di interpretare politicamente il nostro tempo. Le loro visioni sono alternative a quelle che siamo abituati a conoscere dai media e quindi offrono punti di vista altri, nuovi stimoli di riflessione e comprensione per il pubblico. Non vogliamo imporre nessun tipo di ideologia, ma essere un luogo di incontro e dialogo. 

Indagare quindi la complessità celata sotto la superficie del reale, ma anche quella della fotografia stessa, delle immagini. 
Assolutamente, soprattutto in un periodo storico come questo in cui le immagini fotografiche, e anche video, diventano sempre più ambigue. Lo scopo principale della cultura deve essere quello di fornire visioni diverse, di educare alla messa in discussione dell’immagine. Un festival deve rispondere a questo bisogno, non solo mostrare ma dare una reazione, a differenza dei musei dove, invece, la programmazione e l’approccio sono più meditati e a lungo termine. 

Questo valore sociale e pedagogico dato alla cultura e all’arte spiega anche la vostra scelta di rendere l’Accademia Albertina il quartier generale, sottolineando come un luogo di educazione e formazione dei giovani debba avere un ruolo centrale in una comunità. 
Uno dei punti principali di Exposed è un programma di mediazione per studenti e giovani, con una serie di eventi dedicati ai ragazzi delle scuole. Per me lo studio dell’immagine dovrebbe essere una materia di studio in qualsiasi scuola, non per la valenza artistica in sé, ma perché ormai siamo così abituati a vedere il mondo attraverso le immagini e non attraverso l’esperienza, che risulta fondamentale riuscire a leggerle in maniera critica, avere gli strumenti per darne un’interpretazione, un po’ come imparare la grammatica. Penso all’IA e alle immagini generate, per esempio. 

C’è una grande attenzione verso i giovani artisti, con un premio di produzione a loro dedicato. 
Exposed Grant per la Fotografia Contemporanea è centrale nel progetto del festival, forse è stata la prima cosa che abbiamo istituito. Uno degli obbiettivi di un festival è anche quello di favorire la produzione di nuovi lavori. Il nostro grant va a un artista selezionato da una giuria e consiste in un contributo economico per produrre un lavoro che viene presentato poi al festival in forma di mostra. Quest’anno l’artista vincitore è l’artista boliviano River Claure e la sua mostra sarà alla Gam, un luogo che darà prestigio a questo giovane artista, perché gli emergenti non sono meno importanti e di valore rispetto a quelli affermati. 

Il video è un medium attraverso cui ormai la fotografia si esprime. 
A noi piace parlare di immagine più che di fotografia, infatti, perché sempre più fotografi lavorano con il video e con approcci e linguaggi diversi. È una tendenza sociale, anche perché le persone sono molto più abituate a vedere immagini in movimento per via dei social media e perché la fotografia ha dei limiti e quindi una narrazione più ampia, che utilizzi anche video, suono e installazione, può fornire una complessità maggiore. Essendo Exposed una finestra aperta sulla contemporaneità, un osservatorio su dove la fotografia sta andando, è importante collaborare anche con istituzioni che non necessariamente abbiano la fotografia come punto centrale, soprattutto a Torino dove ci sono altre discipline importantissime come il cinema. 

A fianco delle istituzioni, anche gli spazi indipendenti hanno un ruolo principale nel progetto. 
È stato fondamentale il loro coinvolgimento, perché a Torino ce ne sono molti e perché lo spazio indipendente è dove spesso accade l’innovazione. Per questo supportiamo le loro produzioni e li abbiamo inclusi nel programma ufficiale del festival sullo stesso piano delle realtà istituzionali.

Olga Cafiero, «Papaver rhoeas», 2020, Torino, Camera-Centro Italiano per la Fotografia

Olga Gambari, 11 aprile 2025 | © Riproduzione riservata

Exposed 2025, il lato profondo dell’immagine | Olga Gambari

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