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«Alter Ego, Andreas-Zero Cold» (2007), di Robbie Cooper

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«Alter Ego, Andreas-Zero Cold» (2007), di Robbie Cooper

«Fotografia e videogame: il mio gioco preferito»

Intervista a Simone Santilli, l’autore di un volume che esplora i mondi virtuali di fotografia e videogioco e le loro convergenze

Claudio Musso

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«I don’t know what you’re looking for / You haven’t found it baby, that’s for sure» cantavano i Cardigans a fine millennio in un brano che ha lo stesso titolo del volume che Simone Santilli ha di recente pubblicato con Postmedia Books, My Favourite Game. L’autore sa bene che cosa sta cercando e pare persino averlo trovato. Il volume inquadra il tema esplicitato nel sottotitolo, (fotografia e videogioco), con competenza e senza dare nulla per scontato: dalla rivoluzione paradigmatica imposta dal digitale al fotografico fino alle basi di gaming e game design. Il lettore viene accompagnato infatti nel superamento di una serie di livelli per giungere alla ricompensa finale. Ah, no, quello era Super Mario Bros. «And I’m losing my favourite game You’re losing your mind again».

Il libro «My Favourite Game» appare come la traduzione di un percorso di ricerca, come la mappa di un sentiero tematico e, allo stesso tempo, come l’appagamento di un desiderio, come la risposta a un’ossessione: come è nata l’idea di pubblicare un volume e quali sono le ragioni che l’hanno spinta a scriverlo?
Come molti miei coetanei sono cresciuto immerso nella cultura videoludica, anche se non sono mai stato granché come gamer. Per questa ragione ho istintivamente trovato dei modi per godere dei giochi senza seguire i loro obiettivi. In altre parole girovagavo per i mondi virtuali guardandomi intorno. A un certo punto, diversi anni più tardi, questa attitudine ha intercettato un’altra mia passione: la fotografia.

Da quel primo incontro, avvenuto più o meno una decina di anni fa, ho collezionato svariati materiali (saggi, articoli, screenshot, video) per comprendere e raccontare un fenomeno intermediale che oggi chiamiamo virtual photography. L’esigenza di dare al tutto una forma più compiuta è emersa anche grazie alle richieste dei miei studenti, che sempre più spesso mi chiedevano di affrontare l’argomento. My Favourite Game è iniziato come una serie di approfondimenti all’interno dei miei corsi di fotografia, durante i quali ho realizzato che esisteva un divario tra le pubblicazioni accademiche che trattavano la virtual photography e le competenze interdisciplinari necessarie per una loro adeguata comprensione. My Favourite Game si propone dunque come un’introduzione alle pratiche e alle culture che si trovano a cavallo tra fotografico e videoludico.

Il rapporto tra fotografia ed estetica videoludica è stato precedentemente indagato attraverso mostre, paper accademici e saggi, quali sono secondo lei i principali riferimenti in ambito italiano e internazionale?
Tracciare una genealogia del fenomeno limitandosi ai materiali accademici è complicato, specialmente perché in origine la teoria si è fatta sulle riviste di settore. La virtual photography ha iniziato a essere oggetto di studio sistematico con l’avvento della figura del «digital curator», una decina di anni fa. Ad esempio Fotomuseum Winterthur ha lavorato con costanza su questo tema grazie a Marco de Mutiis, un interesse culminato in «How to Win at Photography» (2022), una mostra co-curata con l’artista e docente Matteo Bittanti. A quest’ultimo va il merito di essere stato, con un altro curatore, Domenico Quaranta, tra i primi a riconoscere e includere la fotografia prodotta all’interno dei videogame tra le forme di game art già nei primi anni Duemila. Più recentemente in Italia sono apparsi approfondimenti e focus: penso al sito di Gamescenes, al package di «Il Giornale dell’Arte» o agli articoli di Matteo Lupetti per «Artribune» o l’attività di ricerca svolta da Gemma Fantacci in collaborazione con Metronom.

Se fotografia e videogiochi fossero gli estremi di una ipotetica funzione matematica, in che modo la loro interazione ha portato a ulteriori sviluppi nel linguaggio dell’arte contemporanea? Ci indichi qualche esempio che ha analizzato nel suo libro.
Non so se mi sbilancerei parlando di sviluppi del linguaggio dell’arte contemporanea. Mi sembra piuttosto di assistere a un operoso lavorio tra le pieghe di due linguaggi che sono contemporaneamente irriducibili e centrali nella cultura contemporanea. Dick Higgins descrive l’intermedialità come la condizione di quei fenomeni che accadono a cavallo tra due media e trovo che sia la definizione più aderente per descrivere la virtual photography. Essa si trova letteralmente tra videogioco e fotografia, tra le pieghe, negli anfratti, nelle confusioni tra hardware, software, pratiche, supporti, dispositivi… E tutto questo non è necessariamente un ampliamento o uno sviluppo. I confini di questo ambito sono così poco definiti da essere la parte meno interessante del processo di ricerca. La mia sensazione è che se qualcosa sta accadendo, noi ci stiamo muovendo con esso. Credo quindi che, se la fotografia virtuale può fare qualcosa in termini di espansione o sviluppo del linguaggio artistico, prima di tutto ci invita a riposizionare il nostro sapere e i nostri discorsi, cambiando il modo in cui raccontiamo, condividiamo e insegniamo la fotografia (ma vale anche per il videogame).

Insieme a Niccolò Benetton, nel 2012 avete fondato The Cool Couple come duo artistico. In che modo i temi e le questioni centrali in «My Favourite Game» sono entrati nei vostri discorsi e nelle vostre opere?
Nel 2018, all’interno della riflessione sulle dinamiche di competizione ed estrazione del sistema artistico sviluppata con «Emozioni mondiali», abbiamo affrontato la questione della biometrica e del diritto a un’immagine accurata. Nel 2021 abbiamo riflettuto sul rapporto tra Nft, emissioni atmosferiche e desiderio di volare, temi molto caldi durante la pandemia. «Flyin’ High» descrive questo intreccio di bisogni e paure facendo volare un jetliner da Milano a Roma all’interno di Microsoft Flight Simulator e approfittando di questo lasso di tempo (un’ora, cioè il tempo necessario a un aereo per produrre lo stesso ammontare di Co2 necessario per il minting di un Nft), vari personaggi a bordo conversano e cantano una canzone dei R.E.M.

Il progetto che però affronta un tema centrale di My Favourite Game è «Happy Together» (2020), realizzato insieme a Francesco Jodice. Si tratta di un talk performativo all’interno di Los Santos, il doppio digitale di Los Angeles in Grand Theft Auto Online. Attraverso i nostri avatar accompagniamo gli spettatori in un tour della città virtuale e contemporaneamente riflettiamo sul rapporto tra realtà e simulazione mentre sviluppiamo un ragionamento sulla fotografia: tutto il live era montato in tempo reale attraverso le camere virtuali presenti nel gioco.
 

Claudio Musso, 22 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

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