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Walter Guadagnini
Leggi i suoi articoliVenti autori sperimentano bi e tridimensionalità
Vicenda antica, quella del rapporto tra fotografia e scultura, che ciclicamente riappare negli studi e nella pratica artistica, con accenti diversi a seconda dei tempi e delle oscillazioni del gusto. I primi anni del nuovo secolo rappresentano uno di questi periodi, in singolare coincidenza con l’avvento e la diffusione esponenziale della fotografia digitale e delle pratiche di condivisione: come se, a fronte della totale smaterializzazione dell’oggetto fotografico, artisti e studiosi sentissero il bisogno di riaffermarne la sua presenza fisica, anche attraverso il recupero e la reinvenzione di antiche tecniche di stampa. All’interno di tale tendenza si inscrive senza dubbio il progetto «The Camera’s Blind Spot» che giunge ora alla sua terza tappa, dopo le presentazioni del 2013 e del 2015 a Nuoro e ad Anversa.
Con il titolo «La Camera. Sulla materialità della fotografia», la mostra che si apre il 29 gennaio a Palazzo De’ Toschi a Bologna, inserita tra le manifestazioni legate ad ArteFiera, riunisce una ventina di autori che si muovono tra sperimentazioni tecniche e attraversamenti disciplinari, attenti comunque al rapporto tra bidimensionalità e tridimensionalità del mezzo, del soggetto e dell’opera stessa (fino al 28 febbraio, in collaborazione con Banca di Bologna, a cura di Simone Menegoi).
Tra gli artisti presenti, maestri come Paolo Gioli, Attila Csorgò, Franco Guerzoni, rappresentanti delle ultime generazioni ormai giunti a un successo internazionale come Linda Fregni Nagler, Liz Deschenes, Lisa Oppenheim, Simon Starling e numerosi altri, da Dove Allouche agli italiani Elia Cantori, Fabio Sandri, fino a Marie Lund, Johan Osterholm, in una variegata rappresentazione di un capitolo significativo della ricerca fotografica contemporanea.
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