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Giorgia Aprosio
Leggi i suoi articoliOgni materiale possiede una memoria. Nel caso della ceramica, prima della forma c’è la terra.
È da questa consapevolezza che nasce il lavoro di Francesco Ardini (1986, Padova), che da quasi vent’anni esplora le potenzialità scultoree della ceramica come materia viva. Per lui la materia non è un mezzo espressivo ma un’origine, perché prima dell’idea vengono l’argilla, il sedimento del fiume Brenta, la terra impastata, stabilizzata dall’acqua e dal fuoco, secondo una tradizione che ancora oggi definisce l’identità materiale del territorio veneto.
Dal punto di vista chimico la ceramica nasce da un impasto di silice, allumina e ossidi naturali. È plastica quando si modella, si asciuga all'aria e trova stabilità solo con la cottura tra i 980 e i 1300 gradi, quando la trasformazione molecolare la rende resistente. Questo processo di passaggi, tra modellazione, essiccazione e fusione degli smalti, attraversa la storia della produzione ceramica e trova in Nove, in Veneto, uno dei suoi poli più antichi. Qui, dove l'artista attualmente vive e produce, la competenza tecnica convive da secoli con l'artigianato e l'industria, mantenendo un sapere collettivo ancora attivo.
Negli ultimi anni la ceramica è tornata al centro dell’interesse collettivo e delle pratiche artistiche contemporanee. Le sue qualità materiche e tattili, spesso esaltate per la loro resa visiva e meditativa, hanno però finito per trasformarla in un linguaggio estetico, più che in un processo. Ardini ne ribalta l’approccio e ne recupera la sostanza originaria: una materia che nasce dalla terra e prende forma solo attraversando combustione, tensione e trasformazione.
Lo sguardo di Mercurio, in corso alla galleria Limbo a Milano fino al primo novembre 2025, riattiva criticamente questa eredità nel presente. Il cuore della mostra è nelle stampe a smalto ceramico su gres, una tecnica in cui pigmenti ceramici vengono applicati su lastre e fissati attraverso la cottura. Il risultato ha l’aspetto di una superficie fotografica contemporanea, precisa, quasi industriale, ma resta interamente ceramico, dall’immagine al supporto. In opere come Veduta fiume, Veduta foce, Veduta sorgente e Veduta laguna (2025), Ardini riprende la tradizione dei paesaggi veneti tipici delle ceramiche di Nove e Bassano — fiumi, vegetazione, orizzonti montani — ma la svuota di ogni nostalgia decorativa. Il paesaggio non viene rappresentato, affiora. Resta come traccia di un luogo che sopravvive dentro la materia.
Le vedute, che sembrano sul punto di sciogliersi, nascono da fotografie del territorio elaborate con intelligenza artificiale. Una scelta non solo estetica, ma innanzitutto metodologica, che introduce nell’opera variabili non controllabili, proprio come avviene con il fuoco, con l’acqua o con la terra. Ardini accetta il rischio della trasformazione, cede parte del controllo e mette in discussione l’idea di autore come demiurgo. D’altronde, “tradizione e tecnologia si intrecciano nello stesso processo da sempre”, racconta.
Accanto a queste opere si trovano le sculture della serie Diatomee (2025) forme organiche che sembrano provenire da un’epoca geologica remota. Le diatomee, microalghe unicellulari comparse circa 145 milioni di anni fa e responsabili di un quarto dell’ossigeno terrestre, diventano per l’artista un modello di forma vitale primaria. Ancora in tensione, come se il processo di cottura non si fosse mai davvero concluso, sono anche le opere della serie Memoria primordiale (2025). Qui la ceramica si intreccia a forme organiche in acetato, simili a tubi o cuscini di silicone, che emergono, strabordano e si insinuano nelle superfici solide e stabili della terra cotta, come se il materiale cercasse ancora di espandersi oltre i propri limiti.
La riflessione di Ardini si apre e si chiude con Lo sguardo di Mercurio (2025), la scultura che dà il titolo alla mostra e ne riassume la poetica. Nella mitologia, Mercurio è il dio delle soglie e delle trasformazioni, colui che attraversa i mondi e gli stati della materia. Ardini ne dà una traduzione concreta in un volto ceramico attraversato da lenti di vetro montate al posto degli occhi. Non sono ornamenti, ma vere lenti per occhiali provenienti dalla filiera produttiva con cui l’artista collabora da anni. Accanto alla ceramica utilizza il vetro, altro materiale identitario del Veneto, che conosce a fondo grazie all’esperienza maturata nel settore dell’occhialeria. In quest'opera ceramica e vetro convivono come due condizioni della materia, opaca e trasparente, terrestre e ottica, statica e attraversabile. Lo sguardo non è più un atto percettivo ma un passaggio, attraversa la materia così come la forma attraversa il tempo. Per Ardini la ceramica non è decorazione né ritorno all'artigianato, ma un modo di pensare il mondo attraverso la trasformazione.
Francesco Ardini, Lo Sguardo di Mercurio, Limbo Contemporary, Milano. Courtesy l'artista e Limbo Contemporary
Francesco Ardini, Lo Sguardo di Mercurio, Limbo Contemporary, Milano. Courtesy l'artista e Limbo Contemporary
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