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Roberto Bilotti accanto alla scultura di Boccioni «Antigrazioso» (1913) alla Gnamc di Roma, prima del danno subito durante l’allestimento della mostra «Il Tempo del Futurismo»

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Roberto Bilotti accanto alla scultura di Boccioni «Antigrazioso» (1913) alla Gnamc di Roma, prima del danno subito durante l’allestimento della mostra «Il Tempo del Futurismo»

Futurismo alla Gnamc. Perché Bilotti ha ritirato la sua scultura di Boccioni

Il collezionista ci scrive e racconta: «Non potevo accettare una didascalia antiscientifica, antistorica e antidocumentale, generata da un banale errore di traduzione»

Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona

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Venerdì 20 dicembre si è avverata l'ultima stazione della «via crucis» di Umberto Boccioni, dopo 18 giorni di esposizione presso la mostra «Il Tempo del Futurismo», inaugurata il 2 dicembre alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma (Gnamc). Una vicenda incomprensibile, senza logica apparente, forse derivante da qualche «dietro le quinte» di politici, da accordi con galleristi o dalle dinamiche ricostruite dalla stampa e dalla televisione. O semplicemente dall’assenza di un comitato scientifico, che avrebbe dovuto coordinare i pareri di esperti con la documentazione pregressa, onde garantire l’omogeneità espositiva.

Eppure «Forme uniche» è l’opera che più rientra nell’immaginario collettivo, con cui la gente ha più familiarità, convivendo quotidianamente con l’immagine dei 20 centesimi di euro, ma anche perché la si può vedere nelle varie «traduzioni» dei musei del mondo. E così continua a coinvolgere ed emozionare. È il capolavoro che forse esprime più di ogni altro «Il Tempo del Futurismo», perché traduce il sentimento di quel «tempo», lo spirito di innovazione, la sua potenza visionaria, l’idealizzazione della velocità meccanico industriale. Il rapporto tra uomo e macchina, infatti, in Boccioni sarebbe diventato sempre più stretto fino a fondersi in un’audace visione futurista. L’opera incarna proprio il rapporto tra arte e scienza/tecnologia, la macchinizzazione dell’umano e l’umanizzazione della macchina. Rappresenta gli obiettivi artistici iconoclastici e rivoluzionari dei futuristi, la deformazione di un corpo antropomorfo lanciato a conquistare il futuro, in una traiettoria sintetizzata rispetto alle variazioni del movimento.

L’opera arriva dall’Onu dove è stata esposta dal Ministero degli Esteri nel 2024 quale icona italiana, dopo essere stata da giugno 2022 ad Osaka e nel 2023 a Singapore, Tokyo, New Delhi, Seul e Città del Messico. Fa parte della tiratura autorizzata delle eredi Marinetti, in attuazione della volontà di Filippo Tommaso Marinetti del 23 novembre 1933, erede morale e partecipe intellettualmente al lavoro futurista di Boccioni, il quale stabiliva di realizzare una tiratura di «Forme Uniche», per il Nord Italia, per il Centro e per il Sud, ovvero a Milano, a Roma e Reggio Calabria, dove Boccioni nacque il 19 ottobre 1882. Le eredi Marinetti, cedendo il gesso e due bronzi, avevano vietato la riproducibilità, riservandosi l’esclusiva facoltà di realizzare la tiratura prevista nel 1933 realizzata da Carlo, Enzo e Roberto Bilotti con la supervisione scientifica di Maurizio Calvesi, che l’ha schedata e pubblicata nel catalogo generale dell’opera di Boccioni a cura di Calvesi e Dambruoso (Allemandi, 2016), con ratificata notarile di Ala Marinetti, fonderia Realizzazioni Srl, Roma. 

Gli accordi realizzativi iniziavano dopo il 1986, termine del periodo protetto dei diritti d’autore, cioè dopo i 70 anni dalla morte dell’artista, riservato ai discendenti, il figlio Pietro e la di lui figlia Hélène Berdnikoff, oltre a Licia Dal Pian Boccioni, erede di Amelia, sorella di Umberto Boccioni (Alfred Hamilton Barr Jr. storiografo e primo direttore del Museum of Modern Art di New York, nella lettera da Londra, 13 luglio 1948, conferma che le eredi Marinetti hanno il diritto di riprodurre secondo quanto prestabilito dal fondatore del movimento). Come previsto da Filippo Tommaso Marinetti, il 28 novembre 2012 il bronzo n. 2/6 è stato donato dai Bilotti alla Galleria nazionale di Cosenza, e il 9 marzo 2023 l’edizione n. 3/6 è stata consegnata alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma nelle more della donazione.

Il progetto voluto da Marinetti, nella mostra alla Gnamc, ha trovato sprezzante delegittimazione antistorica, antiscientifica e antidocumentale. Tutti i bronzi di Boccioni nei più importanti musei del mondo sono delle «riproduzioni», nel senso materiale del termine, proprio per come sono state prodotte, ossia riprodotte fedelmente dallo stampo del gesso o del bronzo, e nessuna realizzata per volontà espressa e supervisione dell’artista. Sostantivare, come avvenuto nella didascalia in mostra, il termine riprodurre in «riproduzione», e ancorarlo alla parola «surmoulage», pur essendo indicata la data postuma alla morte dell’artista, oltre a essere pleonastico, in italiano, assume un connotato peggiorativo completamente diverso. «Surmoulage» indica la tecnica d’esecuzione, cioè, come da dizionario, «fusione da bronzo finito», un banale errore che non dovrebbe accadere in un museo. Omettere la data di concepimento (1913), che precede quella di fusione, significa falsare i termini di fondo, in quanto nega la derivazione dalla forma primaria. 

L’alternativa propostami è stata l’inedita denominazione «opera tattile». Al riguardo, occupandomi di arte sanitaria negli ospedali Ruggi d’Aragona di Salerno e di arte sociale nelle carceri, mi ero reso disponibile, in spirito d’inclusione sociale, di consentire, specialmente ai non vedenti, di percepirne la forma, di renderla fruibile attraverso la percezione del tatto. Usarla però come definizione dell’opera non è storicamente accettabile e travisa così la mia disponibilità.

Tutti i musei, anche quelli che espongono i bronzi di «Forme uniche», tratti direttamente dal gesso o con il passaggio tecnico dal bronzo, omologano la descrizione in didascalia indicando in successione l’autore di riferimento, il titolo, la data di concepimento e poi di fusione, e, infine ed eventualmente, la tecnica. Così è stata inquadrata sino ad oggi dalla critica, dallo stesso Ministero della Cultura nel Decreto di vincolo e nel Catalogo dei Beni culturali, dal Comitato scientifico del Ministero degli Esteri nel catalogo della Grande visione italiana, dallo stesso direttore generale dei musei Massimo Osanna nelle richieste ufficiali alla Galleria Nazionale di Cosenza, dallo stesso curatore Gabriele Simongini nella mostra «Ipotesi Metaverso» del 2023. L’opera, inspiegabilmente esposta invece alla Gnamc al buio (fatto senza precedenti che ha mortificato la sua presenza e messo a rischio la sicurezza dei visitatori), è stata esclusa dal catalogo, come se non fosse in mostra. Infine, il posizionamento su base di marmo è concettualmente contrario allo spirito della polemica futurista sulla «nobiltà tutta letteraria del marmo». La direttrice della Gnamc, Renata Cristina Mazzantini, non ha mai risposto a nessuna di queste argomentazioni, neppure alla precedente attività di Governo. Quest’ultimo ha infatti esposto l’opera attraverso il Ministero degli Esteri, e con il supporto del Comitato scientifico Collezione Farnesina (composto da nove super specialisti che hanno esaminato l’intera documentazione della scultura, inquadrandola nella scheda didascalica) per due anni, in Paesi con i quali intercorrono scambi politici, diplomatici e culturali, e in luoghi della civiltà universale, come il Palazzo di vetro delle Nazioni Unite. Oggi la dott.ssa Mazzantini, con il suo confuso ribattezzamento, di fatto, sconfessa l’operato del Governo: come se quest’ultimo e il vicepresidente del Consiglio dei Ministri avessero preso in giro il mondo. 

Al momento del ritiro da me effettuato del bronzo, esso presentava un danno nella parte superiore, forse a seguito dei continui spostamenti non autorizzati dal Comitato organizzatore o dalla proprietà. Un’opera trattata come merce, con una serie di irregolarità amministrative: senza assicurazione e incredibilmente senza «condition report» d’ingresso e uscita dal museo, come previsto dalla «Guida per l’organizzazione di mostre d’arte» (Ministero dei Beni culturali, 9 e 11 maggio 2000).

«Forme uniche della continuità nello spazio» (1913) di Umberto Boccioni, proprietà Bilotti

Trattamento discriminatorio anche in comparazione all’altro bronzo di Boccioni in esposizione, «Sviluppo di una bottiglia nello spazio», di fatto una ricostruzione su foto, realizzata da Marco Bisi, mediante ricomposizione di frammenti raccolti nel 1927 dalla discarica di Acquabella in via di Porta Romana a Milano, rincollati alla meno peggio, pesantemente limati per poterli fare combaciare. Lo stesso Bisi, nella sua intervista rilasciata a Marco Rossi Lecce, dichiarò che «la scultura futurista è impossibile da ricostruire, perché mancano punti di riferimento»; divergendo, quindi, sia morfologicamente che nella superficie ruvida dell’invenzione boccioniana. Le didascalie dei due bronzi di Boccioni in mostra non ravvedono alcun principio di verità, né di ricerca storica, scientifica e autorizzativa, risultando ingannevoli nel messaggio della loro genesi.

Non potevo che contestare la didascalia falsata anche in confronto all’altro bronzo, non potevo non rilevare il banale errore di traduzione. La direttrice Renata Cristina Mazzantini è rimasta indifferente alle argomentazioni supportate da prove documentali, alla richiesta di un tavolo tecnico per una soluzione giusta, reagendo invece punitivamente con la rimozione arbitraria della scultura il 10 dicembre. Ha deciso poi, ancora arbitrariamente, di riposizionarla due giorni dopo, inizialmente contro la parete, poi al centro del corridoio, in un continuo spostamento senza copertura assicurativa, la cui liberatoria non assolve dai danni di una gestione personalizzata. Ho così deciso di ritirare «Forme uniche della continuità nello spazio», con dispiacere: perché una mostra sul Futurismo senza le «Forme uniche» è come un tavolo senza una gamba! Nei musei più importanti al mondo il Futurismo si identifica con «Forme uniche»: vogliamo davvero che sia proprio una mostra a Roma, città nella quale Boccioni diventò futurista (designata peraltro da Marinetti come destinataria di un bronzo in permanenza) a rimanere mutilata da quest’assenza?

Rosalind McKever, del Metropolitan Museum di New York, ha dedicato ricerche, studi e pubblicazioni alle traduzioni postume di «Forme uniche». In spirito collaborativo specialistico, ha fatto avere, mio tramite, sia al curatore che alla direttrice il suo parere scientifico sulla didascalia, che è rimasto ignorato, così come l’offerta di un cartello sintetico della complessa genesi dei bronzi di Boccioni in mostra. I valori scientifici sono rimasti fuori dalla porta della Gnamc, per la prima volta nella sua storia.

La terza scultura di Boccioni prevista in mostra era l’«Antigrazioso», il gesso patinato che il formatore Cesare Gariboldi ha tratto dal modellato in argilla di Boccioni. La sua assenza al momento dell’inaugurazione era dovuta a recenti danneggiamenti spiegati così dal curatore Simongini: «Il danno si è verificato mentre la ditta che ne aveva l’incarico stava spostando la scultura» («la Repubblica», 19 dicembre 2024). La direttrice, però, aveva dichiarato l’opposto: «Durante la revisione conservativa preliminare, come da procedure interne, l’opera presentava alcune criticità, e per ragioni cautelative si è ritenuto opportuno approfondire le cause del fenomeno di alterazione», occultando di fatto il danno e l’incidente avvenuto sotto la sua supervisione. Speriamo che almeno per l’«Antigrazioso» il «condition report» e le fotografie allegate possano svelare la verità. Fatto sta che la direttrice tende a cambiare le carte in tavola, come nel caso della parcella di Federico Palmaroli, in arte Osho, come è emerso su La7 durante la trasmissione «Piazzapulita», nella puntata speciale del 19 dicembre dal titolo «Amici miei». Alla domanda del giornalista Danilo Lupo «Quanto costa Osho?», la Mazzantini risponde: «Niente, non lo paghiamo». Ma appena si abbassano le telecamere cambia totalmente versione: «Mi deve fare ancora un’offerta... Quanto non posso dirlo». 

Negli altri Paesi il contributo privato è visto come un apporto prezioso che viene riconosciuto e valorizzato. Le quattro sculture di Boccioni presenti a New York, ad esempio, sono donazioni o lasciti privati. Non solo nei Paesi anglosassoni, anche in Italia alcuni privati si impegnano a integrare i ruoli istituzionali, nonostante le prospettive della Legge Ronchey siano solo uno sbiadito ricordo. Il Ministero della Cultura, preposto alla sua promozione nel Paese, non è stato in grado di dotare Reggio Calabria, città natale di Boccioni, di una sua sola opera. Con spirito civico ho ceduto in comodato alla Pinacoteca Comunale della Città i bozzetti preparatori di «Studio per la risata», «Studio di periferia», «La città che sale» e altri due ritratti. La Calabria ha aderito concretamente al Futurismo in tutti i campi, la mia famiglia ha collezionato un repertorio di 60 opere di futuristi calabresi, unica raccolta organica esistente, che in spirito di condivisione ho donato al Museo del Presente di Rende, per restituire alla Calabria vigore culturale e centralità del suo ruolo nell’avanguardia futurista. Alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma il senso civico di molti attori è stato misconosciuto: forse è il momento di avviare una seria riflessione sulle sinergie e i rapporti tra istituzioni pubbliche e soggetti privati, per promuovere, valorizzare e sostenere la nostra arte.

Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona, 03 gennaio 2025 | © Riproduzione riservata

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