Gilda Bruno
Leggi i suoi articoliLa nuova generazione di fotografi e artisti visivi guarda alla contemporaneità e ai suoi temi più critici con una consapevolezza e un desiderio di sperimentazione inediti. Futuro presente vuole dar voce ai giovani talenti che rappresentano il futuro della fotografia; un futuro forse già presente. Sono infatti più urgenti che mai le tematiche affrontate dal lavoro di questi artisti visivi: dal cambiamento climatico alla decolonizzazione dello sguardo, dall’utilizzo degli archivi storici alla rilettura delle classiche pratiche di documentazione fotografica.
«Credo che le foto siano immagini mentali che abbiamo del mondo, degli specchi in cui ci riflettiamo», racconta Alessia Rollo, fotografa e artista visiva, classe 1982. La sua visione del medium fotografico la porta ad adottarlo come la lente con cui si avvicina a ciò che la circonda; allo stesso modo, «Queer è ora», la sua ultima mostra personale, la porta a rivolgersi alla fotografia per fare luce sull’esperienza non binaria. «Il Giornale dell’Arte» l’ha intervistata per scoprire di più riguardo alla rilevanza sociale di questo progetto, in visione presso il Castello Volante di Corigliano d’Otranto (Le) fino al 31 ottobre.
«Queer è ora» nasce da una collaborazione con alcuni centri contro le discriminazioni dovute all’orientamento sessuale e all’identità di genere (Cad) presenti in Italia. Ci può parlare di questo progetto?
Parte tutto da un incontro con Gianluca Rollo e Gaia Barletta, che nel 2019 mi proposero di lavorare a una serie fotografica sulle realtà queer del Salento. Il lavoro divenne una campagna di comunicazione prodotta da Big Sur. Dopo la pandemia, tramite un finanziamento Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), lo abbiamo ampliato, riportando l’attenzione su Cad nel Nord, Centro e Sud Italia. «Queer è ora» promuove una visione più vasta dell’identità e dell'amore.
L’Italia è un paese in cui il riconoscimento legale di vite che non aderiscono all’eteronormatività di stato è ancora un miraggio: questa serie rappresenta una forma di attivismo a supporto di chi ancora lotta per i propri diritti.
Sulla base di quali osservazioni ha sviluppato lo stile di questa sua serie?
Quello che mi affascina della fotografia è la sua capacità narrativa nei confronti della realtà, ma soprattutto la sua ambiguità; il modo in cui essa contribuisce a rafforzare stereotipi attraverso cui decodifichiamo ciò che ci circonda. Nei miei progetti, parto da immagini esistenti per rendere manifesto il loro potenziale narrativo inespresso. Lo faccio inserendo una chiave metaforica in ciascuno dei miei lavori e diversi livelli interpretativi, tra cui la parola e la manipolazione delle foto.
Nel caso di «Queer è ora», ho deciso di intervenire su ogni fotografia analogicamente, inserendo elementi pittorici e testuali che danno spazio alle esperienze a me raccontate da ciascuno dei partecipanti: idee che ho poi tradotto in immagini. Questo mi ha concesso di rendere del tutto inclusiva la partecipazione alla narrazione.
Quali sono stati i momenti più significativi di questa sua esperienza?
In questi mesi ho viaggiato tra Genova, Perugia, Foggia, Bari e Lecce in compagnia di Gaia e Gianluca per ascoltare coloro che lavorano nei Cad di queste città e chi usufruisce dei loro servizi.
Sono venuta in contatto con le battaglie di chi gestisce questi centri, quelle degli psicologi che offrono sostegno ad adolescenti trans e ai loro genitori, quelle di madri e figli che lottano per il riconoscimento della propria identità a scuola e nella società civile, di drag queen e king che fanno della loro attività un manifesto di libertà. Emancipazione ottenuta con grande sforzo, ma pur sempre con uno slancio verso la bellezza: tutto questo mi ha toccato nel profondo.
Ci parli di uno scatto di «Queer è ora» a cui è particolarmente legata.
Tra le storie in cui mi sono imbattuta, ce n’è una che offre un’importante lettura per i genitori di figlie e figli trans. Stefania è la mamma di Luka, ragazzo trans che a 13 anni le ha comunicato il disagio legato al suo nome, Mia, e al suo corpo femminile. Da allora lo accompagna nel suo percorso di affermazione di genere supportandolo in qualsiasi modo.
Ci ha raccontato di sentirsi fortunata, di sentire che è un essere speciale. Afferma con convinzione che le persone queer hanno qualcosa in più e che essere queer è normale. Nelle foto, ho reinterpretato iconografie della storia dell’arte ispirate ad artiste donne o queer per portare nel contemporaneo narrazioni tralasciate dal patriarcato.
Nel caso di Stefania e Luka, lo spunto è arrivato da «Le due Frida» di Frida Kahlo: un’opera associata al concetto di dualità ma anche al legame tra queste due figure. Ho poi inserito elementi pittorici e testuali per dare voce ai loro protagonisti, rendendo il risultato finale quanto più inclusivo possibile.
Che cosa impedisce l’effettiva integrazione della popolazione queer in Italia?
Il nostro Paese non solo non tutela, ma non riconosce neppure l’esistenza e le necessità delle persone non binarie: queste si trovano ad affrontare buchi legislativi unicamente colmati da iniziative autonome come le carriere alias nelle scuole, o dai Comuni che decidono di formalizzare il riconoscimento genitoriale di coppie omosessuali.
La presenza dei Cad sul territorio nazionale fronteggia le falle della burocrazia garantendo assistenza legale, sanitaria e psicologica alle vittime di discriminazione e violenza. C’è però bisogno di più coscienza sociale. Come alimentarla? Non ignorando le esigenze della comunità queer, prestando attenzione alla maniera in cui, nel parlare, la includiamo o escludiamo nel nostro quotidiano, e migliorando la vita degli altri affinché i diritti non rimangano un privilegio di pochi.
Che cosa spera di riuscire a suscitare in coloro che visiteranno la mostra?
Spero che i visitatori possano riconoscere un fratello, una sorella, una madre, un padre o un’amica nelle mie immagini. Vorrei che tutti noi, in quanto spettatori della realtà, ci facessimo più domande nell’incrociare qualcun altro, cogliendo l’occasione di imparare da chi ci sta attorno. Che non avessimo paura del diverso, che mai ci toglie ma ci arricchisce sempre.
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