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Matteo Fochessati
Leggi i suoi articoliLa pittura non finita e i segni impersonali sono state le due principali costanti dell’esperienza artistica di Giorgio Griffa (Torino, 1936). Questi basilari canoni di ricerca hanno improntato tutto il suo decennale percorso pittorico che, sempre fedele alle proprie primarie radici espressive, ha comunque continuato a rinnovarsi attraverso la persistente introduzione di inediti elementi compositivi.
Alla sua lunga e complessa ricerca artistica, strutturata per cicli e consacrata da prestigiosi riconoscimenti museali ed espositivi (si ricordano negli ultimi anni le mostre al Macro di Roma, al Centre d’Art Contemporain di Ginevra, al Museo Serralves di Porto, al Camden Art Centre di Londra, al LaM di Lille e al Centre Pompidou di Parigi), Genova, luogo di origine della sua famiglia, rende omaggio dal 22 marzo al 13 luglio con una grande retrospettiva, «Giorgio Griffa. Dipingere l’invisibile», allestita nelle sale dell’Appartamento del Doge di Palazzo Ducale e curata da Ilaria Bonacossa e Sébastien Delot (catalogo Silvana Editoriale).
La mostra si apre a circa cinquant’anni dalle sue personali in due storiche gallerie cittadine, che per il loro significativo ruolo d’avanguardia negli anni Settanta e Ottanta ci ricordano quale importanza ebbe allora il capoluogo ligure nell’ambito dell’arte contemporanea. Come infatti dichiarato da Bonacossa, direttrice di Palazzo Ducale e cocuratrice della mostra, rispetto agli obbiettivi che sottendono questo progetto espositivo: «La mostra di Giorgio Griffa vuole riportare la storia dell’arte contemporanea al Ducale e a Genova, una città che ha una storia importante come luogo di genesi e di sperimentazione creativa, ma che sta trascurando nell’ultimo decennio questa vocazione».
Griffa tenne infatti una personale nel 1974 alla Galleria La Bertesca, partecipando l’anno successivo nella sua sede di Düsseldorf alla collettiva «Analytische Malerei»; mentre nel 1977 il pittore ebbe la sua prima esposizione personale alla Saman Gallery di Ida Gianelli (la seconda fu inaugurata il 2 marzo 1980). A quell’epoca erano passati circa dieci anni dalla fatidica svolta che, tra il 1967 e il 1968, segnò il rinnovamento della sua ricerca pittorica: in quel periodo Griffa, abbandonata la figura perché ritenuta ormai superflua, liberò le tele dal telaio, cominciando a dipingere per terra; abbandonò i colori a olio per quelli ad acqua e, consacrandosi al non finito, collegò i suoi segni impersonali alla millenaria memoria della pittura.
Queste scelte radicali, maturate all’interno di un’elaborata sintesi tra pensiero occidentale e orientale, diedero avvio a un personale percorso artistico che, pur confrontandosi con l’Informale, il Concettuale e l’Arte Povera, ha sempre mantenuto una sua coerente autonomia identitaria, come ci svela adesso la mostra di Palazzo Ducale. Le 50 opere selezionate per la mostra (grandi tele, lavori su carta e installazioni, tra cui un omaggio a Eugenio Montale, nel centenario della pubblicazione di Ossi di seppia) accompagnano i visitatori in un percorso espositivo impostato sul dialogo tra i suoi dipinti e le suggestioni architettoniche delle sale di Palazzo Ducale, con inedite aperture alla luce naturale. E sempre Bonacossa ha affermato a proposito dell’innovativa scelta di questo allestimento: «Il progetto cocurato da me e Sébastien Delot nasce in collaborazione con la Fondazione Griffa e con Giorgio Griffa che è stato a Palazzo Ducale e ha immaginato un percorso tematico che creasse un dialogo minimale e poetico tra l’architettura del palazzo (riaprendo le finestre in due grandi saloni dell’Appartamento del Doge) e le sue tele installate per tematiche compositive». E proprio i lievi, misurati e regolari movimenti sulla tela della pittura di Griffa contribuiscono, attraverso la spersonalizzazione di un’operazione artistica che rifiuta ogni sistema gerarchico con al vertice l’artista creatore, a rendere l’immaterialità del pensiero: a dipingere, come recita il titolo della mostra, l’invisibile. Una pittura, dunque, come sintetizza ancora Bonacossa, dalla quale «emerge una poesia silenziosa in cui l’equilibrio tra i colori pastello e il non finito delle tele di Griffa apre a una dimensione zen e seduce il pubblico».

Giorgio Griffa, «Matisseria n. 2», 1984. Courtesy Fondazione Giorgio Griffa. Foto: Federico Rizzo