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Di tutte le sale di Palazzo Te, quella di «Amore e Psiche» è la più sontuosa. Era la sala da pranzo di Federico II Gonzaga e, oltre a essere fasciata da magnifici affreschi, è sormontata da un elaboratissimo soffitto in legno intagliato e dorato che racchiude ottagoni e lunette dipinti e culmina nel quadrato centrale in cui Giove, dopo le innumerevoli vicissitudini affrontate dai due innamorati, congiunge in matrimonio Amore e Psiche.
L’intera decorazione della sala è opera di Giulio Romano e racconta la favola di Amore e Psiche, così com’è narrata nelle Metamorfosi di Apuleio, ma alla loro si aggiungono le vicende di altri amori contrastati, tanto che più di uno studioso ha visto in essa una chiara allusione alla passione che univa Federico II e Giulia Boschetti, fieramente contrastata dalla madre di lui Isabella Gonzaga nata d’Este.
«È una lettura un po’ boccaccesca che personalmente non condivido, spiega Stefano Baia Curioni, direttore di Fondazione Palazzo Te a «Il Giornale dell’Arte»: non credo che un artista come Giulio Romano avrebbe messo in piazza gli amori del committente. Non dimentichiamo che quelli erano tempi critici, con il Turchi che avanzavano, la battaglia di Pavia (1525, Ndr) tra la Francia di Francesco I e l’impero di Carlo V, e gli assetti del mondo che sembravano franare. Propendo invece per l’interpretazione avanzata da Frederick Hartt, che riconduce l’intenzione iconografica dell’intero palazzo al pensiero neoplatonico, con i suoi rifermenti mitologici e sapienziali. Qui si parla dell’iniziazione di Psiche che, da umana, si divinizza per amore: ovunque, del resto, in Palazzo Te, si pone il tema del rapporto dell’umano con il divino, che è negato nella Sala dei Giganti, mentre già nella Sala dei Cavalli Ercole, grazie a Giove, diventa immortale dopo aver superato le sue celebri dodici fatiche».
Quella di Amore e Psiche è dunque una delle storie-chiave del programma iconografico di Palazzo Te, e per questa ragione quel «camaron quadro» (così lo definiva l’antiquario Jacopo Strada nel ’500) destinato ad accogliere gli ospiti più illustri fu arricchito con decorazioni preziosissime.
Che oggi, però, dopo l’ultimo restauro conservativo condotto dall’Icr nei primi anni Novanta, mostra nel soffitto numerose criticità: le superfici pittoriche, le superfici lignee decorate e gli stucchi presentano un grado di degrado fisiologico dovuto all’uso della sala e allo scorrere del tempo. Ovunque sono evidenti sottili fessurazioni, segno di antichi dissesti e assestamenti e sono diffusi gli attacchi degli insetti xilofagi. Le incorniciature presentano alcune deformazioni e con un diffuso distacco della pellicola dorata da legni di modanatura. Le rosette e le canefore mostrano inoltre una parziale perdita di materiale per decoesione e la pellicola pittorica ha problemi di adesione in più aree.
L’intervento appena avviato, che dovrebbe completarsi in dieci settimane, continua Baia Curioni, «fa parte di un piano conservazione programmata pluriennale messo a punto da Fondazione Palazzo Te: un documento corposo, che abbiamo presentato a Roma un paio di mesi fa e che interessa l’intero palazzo, anche al fine di pianificare per tempo gli investimenti e la raccolta fondi. Nella Camera di Amore e Psiche i diagnostici mostravano la presenza crescente di problemi, che non si avvertono da terra ma che si manifestano con cadute di colore e fissurazioni bianche. Credo che muoversi per tempo sia un esempio di ciò che si deve fare per avere cura del nostro patrimonio».
Ed è qui che entra in gioco la Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti onlus, istituita a Roma nel 2013 da Giovanna Zanuso Sacchetti e tesa alla salvaguardia del patrimonio culturale, storico e artistico (fra gli interventi più recenti, il contributo per il restauro della Ca’ d’Oro a Venezia), oltre che alla ricerca scientifica e alla solidarietà sociale.
Come ci spiega Giovanna Zanuso, «ho visitato nuovamente Palazzo Te dopo moltissimi anni e quando ho visto la sala di Amore e Psiche, uno degli esempi più alti di bellezza che abbiamo in Italia, ho provato un colpo al cuore. Ciò che io non potevo vedere, cioè i danni che interessavano il soffitto, mi è stato spiegato da chi mi accompagnava e ho deciso immediatamente che avrei supportato questo restauro, di cui era già pronto il budget (100 mila euro la donazione della Fondazione Sacchetti, a totale copertura delle spese, Ndr). Ho molto apprezzato il modo in cui la Fondazione Palazzo Te lavora, basandosi su un piano di conservazione programmato, il che ha permesso loro di muoversi immediatamente: il restauro è già partito e un’altra soddisfazione di questo intervento, per me che seguo giorno per giorno i cantieri, è stata l’immediatezza dell’operazione».
Non così, purtroppo, sta accadendo alla Ca’ d’Oro, il cui cantiere è stato avviato nel 2023, «ma in quel caso, commenta Giovanna Zanuso, l’edificio era a pezzi e a ogni intervento si trovava un nuovo danno. Ecco perché è fondamentale stendere dei piani di conservazione programmata, che inoltre consentono di trovare più facilmente i mecenati. Vorrei poi aggiungere una cosa: per me che sono cresciuta nella cultura americana, restituire alla comunità un bene che andrà alle prossime generazioni è qualcosa di ovvio e naturale. Non così in Italia, dove mi rendo conto di apparire come un essere lunare. Qui si pensa di lasciare tutto ai figli, mentre io penso che i figli vadano messi in condizione di affrontare al meglio la vita, garantendo loro studi di qualità ma, una volta forniti loro gli strumenti, credo che vadano lasciati liberi di crearsi il loro futuro».

La camera di Amore e Psiche a Palazzo Te, Mantova
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