Giovanni Grimani (Venezia, 1501-93) era un bell’uomo, elegante e raffinato, nato in una delle più potenti famiglie veneziane, destinato dalla nascita alla carriera ecclesiastica. I Grimani erano delle sorte di polipi in perpetuo movimento, in grado di piazzare in modo tentacolare tutta la parentela in ruoli chiave del governo della Serenissima. A Giovanni, che era nipote del cardinale Domenico Grimani e fratello del cardinale Marino, spettava per diritto di famiglia (che avesse o meno vocazione era un dettaglio insignificante) di diventare vescovo e di salire ai più alti vertici della carriera religiosa. Nel 1520, a 19 anni, era infatti già vescovo. Nel 1545 divenne patriarca di Aquileia (dove non si recò mai), succedendo al fratello. A quel punto gli mancava solo il cardinalato per coronare la carriera.
Giovanni però aveva frequentazioni pericolose e, forse, idee ancora più pericolose. Nel 1546, fu denunciato perché si era dichiarato fautore della superiorità del concilio sul papa: un concetto protestante. In un primo tempo la denuncia passò inascoltata, ma nel 1547 la presero sul serio e venne accusato di eresia in toto. Giovanni sarebbe stato un simpatizzante segreto di Lutero e, anzi, avrebbe favorito molti luterani ospitandoli anche a casa sua. Erano anni (quelli del Concilio di Trento), in cui per accuse di questo genere si finiva diritti al rogo, o attanagliati da un boia fino a che non si confessava qualsiasi cosa: un gioco pericoloso anche per un uomo del suo livello sociale.
Giovanni però spasimava per diventare cardinale e per difendersi da queste accuse e mettere le mani sulla porpora nel 1550 si recò a Roma al fine di giustificarsi dalle accuse. Erano invidie? Erano fatti veri? Aveva solo imprudentemente frequentando certi circoli religiosi? L’inchiesta non trovò nessuna colpa particolare e alla fine il papa propose al Grimani di fare «una purgazione canonica», ovvero di ritrattare le sue idee. Prima il Grimani protestò ma poi, per desiderio del cardinalato, si fece convincere al purgarsi. E infatti, come ha scoperto recentemente Massimo Firpo, il papa lo propose fra i cardinali anche perché la Serenissima lo sosteneva politicamente, garantendo per lui.
Nel 1563 fu assolto definitivamente ma il cardinalato non gli fu comunque dato. Amareggiato e ferito da quella che ritenne una grave ingiustizia, gli restarono, come consolazione, la sua splendida collezioni d’arte e il suo bel palazzo a Santa Maria Formosa, nel quale accolse con fasto regale, il 22 luglio 1574, Enrico III di Valois. Grimani, con un colpo d’ala degno di un grande del Rinascimento, donò alla Repubblica di Venezia la sua meravigliosa collezione di statue classiche antiche che divenne così uno dei primi musei d’arte pubblici d’Europa. Collezionista e mecenate straordinario, ebbe al suo servizio Giovanni da Udine, Francesco Salviati, Battista Franco e Federico Zuccari, tutti protagonisti della maniera pittorica post raffaellesca e post michelangiolesca romana. Morì vecchissimo nel 1593.
Proprio intorno alla sua figura e ai suoi ritratti il Museo di Palazzo Grimani, Venetian Heritage e Colnaghi hanno costruito la mostra «Tintoretto e Giovanni Grimani ritratti a confronto» dedicata alla sua immagine nell’arte (17 aprile-8 settembre, catalogo Marsilio Arte). La rassegna, a cura di Toto Bergamo Rossi, Daniele Ferrara e Valeria Finocchi, si inserisce nel percorso di valorizzazione e promozione della storia e delle collezioni del palazzo intrapreso a partire dal 2019 con il riallestimento della Tribuna Grimani e della Sala del Doge grazie alla collaborazione tra la Direzione regionale musei Veneto e Venetian Heritage. In occasione di questa mostra, il «Ritratto di Giovanni Grimani» attribuito a Domenico Tintoretto, già nelle collezioni del museo grazie all’acquisizione e alla donazione dello stesso da parte di Venetian Heritage, si confronta con altri due dipinti di mano del padre Jacopo Tintoretto, testimoniando lo sviluppo iconografico dell’effige del prelato veneziano in una successione che copre diversi decenni tra la seconda metà del XVI secolo e i primi anni del XVII.
Prestito d’eccezione è un olio su tavola di piccole dimensioni raffigurante il «Ritratto del patriarca Giovanni Grimani», recentemente riscoperto in collezione privata dalla Galleria Colnaghi ed esposto per la prima volta al pubblico in quest’occasione. La tavola è stata realizzata da Jacopo Tintoretto probabilmente come modello per l’esecuzione di due capolavori dell’artista: il «Ritratto del patriarca Giovanni Grimani», di proprietà della Schorr Collection ed esposto in mostra, e il noto «Ritratto di Giovanni Grimani» conservato al Rijksmuseum di Amsterdam.
I ritratti di Giovanni Grimani lo rappresentano vestito del rosso patriarchino, che i vescovi di Aquileia portavano per antico privilegio. In quello di Jacopo Tintoretto è ammantato di porpora cardinalizia con mozzetta di seta moiré, ma ha una espressione triste e disillusa: solo nella finzione pittorica era potuto infatti diventato cardinale. Giovanni torna ora ad abitare le stanze del suo meraviglioso palazzo; un unicum a Venezia per via dei richiami all’architettura romana antica e rinascimentale dell’Urbe.
Quando guardiamo un ritratto, ricordiamoci che non è solo una tela più o meno ben dipinta: dietro c’erano un uomo, o una donna, la loro vita, le loro passioni, grandezze e meschinità. E soprattutto la storia, quella che dovrebbe essere sempre maestra di vita e di pensiero.