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Un incontro dell’Unesco nel Novembre 2019 tenuto a Parigi. Foto Cancelleria dell’Ecuador

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Un incontro dell’Unesco nel Novembre 2019 tenuto a Parigi. Foto Cancelleria dell’Ecuador

Gli Usa rientrano nell’Unesco. Contro la Cina

Preoccupati dalla crescente influenza cinese, l’amministrazione Biden decide di rientrare nell’Unesco dopo sei anni di assenza e pagherà 600 milioni di dollari di arretrati all’agenzia culturale dell’Onu

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Tom Seymour

Museums Editor at The Art Newspaper Leggi i suoi articoli

Gli Stati Uniti torneranno a far parte dell’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, nel luglio 2023, quasi sei anni dopo che il presidente Donald Trump si era impegnato a ritirare il suo Paesedall’agenzia responsabile della protezione dei siti del patrimonio culturale in tutto il mondo.

Audrey Azoulay, direttore generale dell’Unesco, ha annunciato il 12 giugno la notizia ai rappresentanti dei 193 Stati membri dell’organizzazione. Il suo discorso è stato accolto da un ampio applauso. Gli Stati Uniti rientreranno «sulla base di un piano di finanziamento concreto», ha detto Azoulay, che sarà ora sottoposto all’approvazione della Conferenza generale degli Stati membri dell’Unesco. La riammissione degli Stati Uniti dipenderà quindi da una votazione prevista per il mese di luglio.

L’Unesco, con sede a Parigi, è l’organizzazione governativa per una serie di iniziative culturali internazionali e multilaterali. Tra queste, l’Unesco supervisiona il Comitato per il Patrimonio Mondiale, responsabile dell’attuazione della Convenzione sul Patrimonio Mondiale e della protezione delle 1.157 aree riconosciute come Patrimonio Mondiale. L’Unesco intrattiene inoltre relazioni formali con l’Icom, International Council of Museums.

Richard Verma, vicesegretario di Stato americano per la gestione e le risorse, ha inviato la scorsa settimana una lettera ad Azoulay, formalizzando il progetto di adesione del Governo statunitense. La lettera ha accolto con favore il modo in cui l’Unesco ha «modernizzato la sua gestione e ridotto le tensioni politiche», ha dichiarato un portavoce di Azoulay in un comunicato.

Il riavvicinamento all’Unesco è da tempo un obiettivo dell’Amministrazione del presidente Joe Biden, che cerca di ricostruire le alleanze con le organizzazioni internazionali. Gli Stati Uniti avevano manifestato l’intenzione di ritirare la propria adesione all’Unesco nel 2017, principalmente a causa delle tensioni politiche legate al conflitto in corso tra Israele e Palestina. Tuttavia, dopo essere salita al potere nel gennaio 2021, Biden si è preoccupato che, in assenza degli Stati Uniti, il Governo cinese esercitasse un’influenza «indebita e crescente» sull’agenda politica dell’Unesco.

Dopo il ritiro degli Stati Uniti, la Cina ha aumentato i suoi contributi all’Unesco fino a circa 65 milioni di dollari, diventando il maggior contribuente al bilancio annuale dell’agenzia. Nel marzo 2018, l’Unesco ha nominato Xing Qu, un diplomatico cinese, come vicedirettore generale. Da allora, 56 siti cinesi sono stati iscritti nella Lista del patrimonio mondiale, rendendo la Cina la seconda nazione più protetta al mondo, dopo l’Italia. La Cina ha inoltre costantemente bloccato i tentativi di Taiwan di diventare membro dell’Unesco.

Il rientro nell’Unesco sarà salutato da Biden come una vittoria politica e diplomatica molto combattuta. Nel dicembre 2022, la sua Amministrazione è riuscita a far approvare dal Congresso degli Stati Uniti una legge di spesa federale da 1,7 miliardi di dollari, con un sostegno bipartisan. Il disegno di legge includeva una deroga che dichiarava esplicitamente che il Governo statunitense avrebbe cercato di riallacciare i rapporti con l’Unesco per «contrastare l’influenza cinese». La stessa legge ha stanziato oltre 600 milioni di dollari che gli Stati Uniti pagheranno all’Unesco a titolo di arretrati.
La notizia sarà un vantaggio finanziario per l’Unesco, che ha un bilancio operativo annuale di 534 milioni di dollari. Prima del ritiro, gli Stati Uniti contribuivano con circa 80 milioni di dollari all’anno.

Relazioni tese
Le relazioni del Governo statunitense con l’Unesco si sono fatte tese nell’ottobre 2011, quando i membri dell’Agenzia hanno votato per l’ammissione della Palestina come membro a pieno titolo. La Palestina è uno Stato osservatore non membro delle Nazioni Unite e non è ufficialmente riconosciuta da alcuni importanti Paesi del mondo, tra cui proprio gli Stati Uniti.

A seguito del voto, l’Amministrazione del presidente Obama è stata obbligata a trattenere i finanziamenti all’organizzazione delle Nazioni Unite, in virtù della legge approvata dal Congresso degli Stati Uniti nel 1990. Nel 2013 ha anche iniziato a negare i propri diritti di voto all’interno dell’organizzazione, sostenendo che il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell’Unesco costituiva una deviazione dal requisito dell’Onu di rimanere neutrale su tutti i conflitti globali. Nel caso della guerra in Ucraina, invece, l’Onu non ha pronunciato alcuna denuncia formale contro la Russia per il suo ruolo nel conflitto, sebbene l’organizzazione abbia pubblicato un elenco esaustivo di siti culturali ucraini danneggiati dagli eventi bellici.

Nell’ottobre 2017, l’amministrazione Trump ha fatto un ulteriore passo avanti annunciando la sua decisione di abbandonare completamente l’Unesco, prima di lasciare ufficialmente l’organizzazione nel gennaio 2019. Contemporaneamente anche Israele ha lasciato l’organizzazione. Il presidente Trump ha affermato che l’Unesco tradisce un «atteggiamento anti Israele», sostenendo che la politicizzazione dell’organizzazione ha comportato una deviazione significativa dalla sua missione principale, quella cioè di promuovere l’istruzione, la cultura e la ricerca scientifica. Da allora si sono svolti negoziati con il Governo israeliano che, nel febbraio 2022, ha dichiarato che non si sarebbe opposto a un ritorno degli Stati Uniti all’Unesco.

Già nel dicembre 2022, Anna Somers Cocks scriveva di come le attività politiche all’interno dell’Unesco abbiano minacciato alcuni siti del patrimonio e di «quanto l’Unesco si sia allontanata dai principi alla base della Convenzione sul Patrimonio mondiale del 1972, che prevedeva la protezione dei siti come bene comune. Gli Stati membri hanno gradualmente trasformato l’originario approccio «tecnico» in un metodo via via più «politico», con alleanze e accordi segreti per far accettare nuovi siti nella lista del Patrimonio mondiale e per evitare sanzioni in caso di cattiva gestione di un sito».

L’amministrazione Trump ha inoltre sostenuto che gli Stati Uniti si sono fatti carico di un onere sproporzionato in termini di finanziamenti dell’Unesco, chiedendo una maggiore responsabilità finanziaria e trasparenza. «Le riforme amministrative, avviate dal 2018, hanno reso l’Unesco più efficiente e finanziariamente solido», ha dichiarato il portavoce di Azoulay, che è stata eletta alla guida dell’Unesco nel novembre 2017. Da allora ha condotto negoziati di mediazione con il Governo statunitense «che hanno permesso di ridurre le tensioni politiche e di trovare un consenso sui temi più delicati, come il Medio Oriente», ha dichiarato il suo portavoce.
 

Un incontro dell’Unesco nel Novembre 2019 tenuto a Parigi. Foto Cancelleria dell’Ecuador

Tom Seymour, 13 giugno 2023 | © Riproduzione riservata

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