Claudio Strinati
Leggi i suoi articoliHo trovato giusto festeggiare i 50 anni di La Storia di Elsa Morante (1974) con una degna serie televisiva diretta da Francesca Archibugi e interpretata da attori insigni. «Uno scandalo che dura da diecimila anni», recita il sottotitolo di copertina del libro, una frase di formidabile impatto. Lo scandalo che dura da diecimila anni, secondo la Morante, non è l’orrore della dittatura e della guerra, ma l’omicidio in sé, cioè l’irrefrenabile impulso di infliggere la morte che sembrerebbe consustanziale con la storia, appunto, dell’umanità.
Le vicende funeste del nazismo e del fascismo, prima e dopo la seconda guerra mondiale, fino alla catastrofe della tragedia della Shoah sono il terrificante tessuto connettivo di un libro indubbiamente rimarchevole il cui unico difetto, forse, fu quello di nascere già con il marchio (Einaudi, si noti bene) di capolavoro, per cui si raccontava come la Morante pretendesse che il libro uscisse subito in edizione economica.
Un errore sempre da evitare e sembra che la Morante abbia in effetti scritto libri più belli. Ma quale grande artista non è tentato dall’idea di qualificarsi come colui o colei che affronta il tema definitivo del bene e del male, dandone una rappresentazione esteticamente eletta? Aristotele, mi pare, parlava in questi termini della tragedia greca e qualcuno, tipo Arthur Miller o Clint Eastwood, ci riesce pure, talvolta, anche se i risultati sono inevitabilmente controversi e spiazzanti e mi riferisco alla Morante come a innumerevoli altri artisti da Gilgamesh ad oggi.
Riflettevo, pochi giorni fa, sulla tremenda questione dell’infliggere la morte come aspetto non rassicurante del nostro pur buonissimo animo, e sento questa notizia alla televisione: la direzione del Vocabolario Treccani ha proclamato come «voce» dell’anno 2023 la parola «femminicidio». Chissà la Morante come l’avrebbe presa.
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