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Lorenza Trucchi

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Lorenza Trucchi

I 100 anni di Lorenza Trucchi

L’11 gennaio è stato il compleanno di una protagonista della critica d’arte della seconda metà del ‘900. Pubblichiamo un’intervista fatta in occasione dei suoi 90 anni, per il supplemento «Vedere a Roma» de «Il Giornale dell’arte» del maggio 2012

Guglielmo Gigliotti

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Questo gennaio Lorenza Trucchi ha compiuto 90 anni. La sua storia si dipana attraverso 60 anni di vicende artistiche italiane, raccontate in quasi 3mila testi distribuiti in saggi, libri e soprattutto articoli, apparsi su «La Fiera Letteraria» e il «Corriere della sera», «Il Giornale» e l’«Europa letteraria», «Momento sera» e «La Voce». Per quanto si definisca «cronista d’arte», i suoi scritti e il suo stile, d’impronta letteraria, si qualificano per l’esattezza delle definizioni e per la profonda comprensione dei linguaggi dell’arte. Dalle sue parole tenteremo di carpire i segreti della sua prosa raffinata e i risvolti meno noti delle vicende che portarono lei a sua volta agli onori della «cronaca d’arte», dai grandi studi su Dubuffet e Bacon, al ruolo di commissario della Biennale di Venezia, alla Presidenza della Quadriennale.

Mi racconti il suo primo incontro con l’arte.
Fu una folgorazione. Mi ero appena laureata in legge, ma con poca intenzione di praticare la professione forense. Così, dopo un viaggio a Londra e Parigi, dove mi appassionai degli impressionisti, visitai la Biennale di Venezia del ’48, che presentava, accanto a William Turner, già scoperto a Londra, sculture di Henry Moore. Fu uno shock, non riuscivo a distogliere lo sguardo da quelle sculture. Capii che quello era il mio mondo. Iniziai così a scrivere per i giornali.

Altri innamoramenti?
Per Burri. Fu una rivelazione. Era il gennaio 1952, entro nella galleria degli amici Gaspero del Corso e Irene Brin, L’Obelisco di via Sistina, per visitare la mostra di questo medico umbro diventato artista, che presentava “Sacchi” e “Muffe”, mostra ignorata dai più. Ebbene, come con affetto ha ricordato più avanti anche Burri, in quell’occasione scrissi la prima recensione in assoluto della sua opera.

Come è cambiata la critica d’arte in 60 anni?
C’è una maggiore informazione generalizzata, forse anche maggiore consapevolezza storica, c’è internet, che è una gigantesca risorsa e che sta rivoluzionando tutto; ma sa, che vuole che le dica, un tempo d’arte scrivevano spesso anche i poeti, da Gatto a Bertolucci a Ungaretti e Cesare Vivaldi, fino ad Accrocca e Raffaele Carrieri. Una frase di Carrieri ti spalancava una finestra e faceva entrare il sole.

Dai suoi scritti trapela un grande amore per la conoscenza. Confessi, la sua è stata una vita meravigliosa.
Guardi, io non sono così erudita, non sono così brava. E non ho vissuto per il lavoro, ma per l’amore. Molto più importante per me era il rapporto con mia madre, con mio fratello. È il privato che conta, non il lavoro e la carriera.

A un intervistatore Carlo Emilio Gadda disse: «Mi intervisti, ma per favore mi lasci nell’ombra». È così anche per lei?
Sì. Io non sono così importante. Credo solo di aver fatto con serietà il mio dovere.

Dubuffet, su cui ha scritto una monografia nel ’65 e numerosi saggi successivi, non aveva questa visione riduttiva. In una lettera a Giancarlo Vigorelli scrisse di essere stato colpito «dalla rapidità di visione e comprensione di Lorenza Trucchi, che vede in un quarto d’ora quanto altri, e io stesso, vedono in sei mesi. E Leoncillo, ringraziandola per una recensione, le scrisse: «Le sue parole (…) hanno toccato una zona che credevo potesse essere intesa solo dopo una lunga amicizia».
Ma no, ma no, parliamo d’altro.

Parliamo di un suo altro ammiratore, Francis Bacon, sulla cui opera scrisse un importante libro nel ’75 edito da Fratelli Fabbri.
È tra le persone più gentili e amabili che abbia mai conosciuto. Ricordo l’affetto dei suoi abbracci quando ti salutava, rari in un inglese.

Lei ha 90 anni. Cosa pensa dell’assillo giovanilistico dei nostri giorni?
Penso che eravamo più giovani noi, perché la vita era più breve e più difficile, oggi i giovani sembrano “vecchioni”.

Dal nodo arte-politica si è passati a quello arte-mercato: qual è peggio?
Sono entrambi devastanti, ma quello arte-politica lo era forse ancor di più. La politica, in un paese molto politicizzato, creava spesso ingiustizie e sopravvalutazioni.

Lei è stata presidente della Quadriennale dal 1995 al 2001. Oggi ha deciso di donare a questa istituzione la sua biblioteca e il suo archivio.
È la seconda istituzione nazionale per il contemporaneo, dopo la Biennale, dove sono stata commissario per il Padiglione italiano nel 1982. E in Quadriennale l’Archivio-Biblioteca è stato creato durante il mio mandato.

Prima dell’esperienza alla Quadriennale, dal ’69 al ‘94 è stata docente di Storia dell’arte delle Accademie di Belle Arti de L’Aquila e di Roma.
Ho amato molto insegnare. Quella de L’Aquila era un’Accademia pilota fondata e diretta da Piero Sadun. La chiamai ironicamente la Bauhaus della Maiella, perché ci insegnavano, con Castellani, Scheggi, Marotta, Ceroli, Strazza, Scordia, Achille Bonito Oliva e Augusta Monferini, anche Arbasino, Sylvano Bussotti, Carmelo Bene e l’architetto Sartogo.

Lei ha conosciuto il mondo dell’arte quando era un piccolo mondo. Oggi lei frequenta ancora assiduamente vernissage e convegni. Cosa è cambiato?
Un tempo era un mondo più concentrato e più creativo, oggi si è espanso, crescendo però spesso solo in quantità. C’é una grande attenzione all’estero, ma io, invecchiando, mi sono sempre più convinta che il primato dell’arte contemporanea spetti all’Italia. Dal Simbolismo al Futurismo alla Metafisica e al Novecento, ad Arturo Martini, che è tra i più grandi scultori del mondo, a Burri, a cui guarda Rauschenberg, all’arte cinetica, alla Transavanguardia, ecco, sono sicura che l’Italia sia un grande paese non solo di arte del passato, ma anche di arte contemporanea.
 

Lorenza Trucchi

Guglielmo Gigliotti, 25 gennaio 2022 | © Riproduzione riservata

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