Robert Indiana con il suo gatto nel 1970

Photograph courtesy of RI Catalogue Raisonné LLC

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Robert Indiana con il suo gatto nel 1970

Photograph courtesy of RI Catalogue Raisonné LLC

I dilemmi esistenziali di Robert Indiana a Venezia

Oltre 40 opere pop, realizzate in sei decenni e alcune raramente esposte, affrontano importanti questioni sociali e politiche e incorporano profondi riferimenti storici e letterari

Tutti conoscono Robert Indiana, (1928-2018) e la sua super famosa scultura «Love». Strano destino, essere famoso per un unico lavoro quando si è dedicata tutta la vita all’arte. Eppure. Robert Indiana nasce Robert Earl Clark a New Castle, Indiana, nel 1928. Già in prima elementare gli viene riconosciuto un talento artistico superiore alla media. Adottato dalla famiglia Clark, vive con loro in ventuno case diverse prima di avere diciassette anni. Durante gli anni di liceo inizia a tenere un diario quotidiano, abitudine che conserverà da adulto. Si forma artisticamente a Chicago, viaggia in Europa, lavorando e studiando. Arriva a New York nel 1954, dove l’incontro con Ellsworth Kelly è fondamentale per la sua vita privata e professionale. Vive con la comunità degli artisti, come Agnes Martin, Cy Twombly, James Rosenquist, Jack Youngerman, nei grandi loft di Coenties Slip, una zona sulla riva sudorientale di Manhattan, dove il ponte di Brooklyn e i resti del passato marittimo, come vele e pali da ormeggio, diventano parte integrante nella pratica di alcuni di loro, tra i quali Indiana, che cambia il proprio nome in omaggio al suo Stato di nascita. 

«Robert Indiana: The Sweet Mystery», curata da Matthew Lyons e presentata da Yorkshire Sculpture Park, evento collaterale ufficiale della 60. Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, è allestita fino al 24 novembre nello storico complesso delle Procuratie Vecchie in piazza San Marco, recentemente restaurato dall’architetto David Chipperfield, vincitore del premio Pritzker, ed è la più significativa esposizione dell’opera di Robert Indiana in Italia. La mostra presenta oltre 40 opere tra dipinti e sculture, alcune delle quali raramente esposte, che ripercorrono sei decenni della carriera di Indiana, esplorando i temi della sua ricerca: la spiritualità, l’identità americana, il potere del linguaggio, la condizione umana, dilemmi esistenziali di questo secolo.

Una veduta della mostra © Marco Cappelletti

Una veduta della mostra © Marco Cappelletti

Una scoperta per il grande pubblico, un’occasione per chi apprezza l’artista; il percorso cronologico dell’esposizione è puntualizzato da opere iconiche, strettamente legate alla biografia dell’artista che si è distinto dai suoi contemporanei della Pop art affrontando importanti questioni sociali e politiche e incorporando profondi riferimenti storici e letterari nelle sue opere. Indiana si definisce un «pittore americano di segni», e traduce in un linguaggio profondamente americano la ricerca artistica di quegli anni densi di istanze. Legato alla parola e alla poesia, Indiana è capace di condensare il racconto toccante della morte della madre in un’opera di solo due parole: «Eat/Die», 1962. Racconta infatti che le ultime parole di sua madre sono state: «Ragazzo, hai mangiato qualcosa?». Il titolo della mostra è quello dell’opera «The Sweet Mystery», 1960-62, uno dei primi dipinti dell’artista che includono vocaboli. Le foglie di Ginkgo biloba, altro elemento grafico spesso presente, si combinano con il nuovo linguaggio visivo che sviluppa nei primi anni ’60. La frase «The Sweet Mystery» si riferisce alla canzone «Ah! Sweet Mystery of Life», del film vincitore dell’Oscar del 1935 Naughty Marietta, mentre le «strisce di pericolo» diagonali erano familiari in cantieri, banchine e cantieri ferroviari del quartiere in cui viveva. 

Una sala della mostra è dedicata alla scultura «Love», con la O rovesciata, secondo Indiana un concetto spirituale distillato in un’unica parola potente. Opera originariamente creata su carta e utilizzata dal MoMA per gli auguri di Natale del 1965, presto diventa un simbolo iconico, tanto da essere riprodotta nel 1973 su 425 milioni di francobolli da 8 centesimi. Sono esposte tre versioni tridimensionali di «Love», che si trasforma in «Amor» e in «Ahava», parola ebraica per amore. La scultura «Love» è stata installata in molte città degli Stati Uniti e nel mondo, da Taiwan all’Armenia alla Spagna, diventando un punto turistico focale, cosa che ha fatto dire a Robert Indiana «Tutti conoscono la scritta Love, ma non hanno la minima idea di come sono fatto. Sono praticamente anonimo». Questa mostra è una buona occasione per conoscerlo.

 

Una veduta della mostra © Marco Cappelletti

Una veduta della mostra © Marco Cappelletti

Michela Moro, 13 giugno 2024 | © Riproduzione riservata

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