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Belkis Ayón, «La cena», 1991 (particolare)

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Belkis Ayón, «La cena», 1991 (particolare)

I miti afrocaraibici di Belkis Ayón

Nel Bildmuseet, in Svezia, la prima mostra nell’Europa del Nord dell’artista cubana, che ha proposto una nuova mitologia radicale per reinterpretare la storia e influenzare il futuro

Dal 23 maggio al 23 novembre il Bildmuseet di Umeå, in Svezia, presenta per la prima volta in nord Europa il lavoro dell’artista cubana Belkis Ayón attraverso la mostra «Mitologie», che riunisce 30 sue opere e bozzetti realizzati tra il 1985 e il 1998.

Belkis Ayón (L’Avana, 1967-99) è stata una delle artiste più importanti di Cuba (un’ampia scelta di suoi lavori erano esposti all’Arsenale di Venezia in occasione della 59ma Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia intitolata «Il latte dei sogni» e curata da Cecilia Alemani) e la sua breve ma intensa carriera è iniziata a metà degli anni Ottanta, sviluppando subito un interesse per i miti afrocaraibici. Le interpretazioni che Ayón ha dato di questi miti parlano di appartenenza, silenzio, potere e resistenza, concentrandosi particolarmente sul personaggio femminile Sikán che, nonostante il suo ruolo centrale nella mitologia Abakuá, una confraternita segreta maschile afrocubana, è stata esclusa dalla pratica religiosa. Punita per aver scoperto un segreto riservato agli uomini, diventò simbolo di sacrificio e ingiustizia.

In quanto donna e atea, che operava in un periodo di crisi economica e di profonda incertezza, Ayón riflette nel suo lavoro le questioni del tempo, ma ha proposto anche una nuova mitologia radicale che sfida le strutture di potere attraverso la quale reinterpreta la storia e influenza il futuro. Come lei stessa ha affermato nel 1999: «Mi vedo come Sikán, in parte osservatrice, intermediaria, rivelatrice… Sikán è colei che trasgredisce ed è ciò che faccio anch’io».

Inizialmente Belkis Ayón ha sperimentato varie tecniche grafiche, in primo luogo la litografia, per poi scegliere la collografia come principale mezzo di espressione, come nel caso delle opere «Veneración», «Nasakó inició», «¡¡¡Ekwé será mío!!!», «Sincretismo I» e «Sincretismo II», tutte datate 1986 e che offrono interpretazioni visive di figure, cerimonie e simboli tratti dal mondo mitologico della Abakuá. La scelta della collografia, una tecnica grafica a rilievo in cui i materiali vengono incollati su una matrice e successivamente inchiostrati e stampati, è stata forse dettata dalla penuria di materiali nella Cuba del tempo, ma come affermò l’artista: «La collografia è la tecnica più adatta a dire ciò che voglio». La sua scelta di rinunciare al colore era inoltre legata alla volontà di intensificare la tensione e il dramma delle scene, che parlano di incertezza, dolore e agitazione, trasmettendo al meglio il mistero emanato dal soggetto raffigurato. L’effetto è ben visibile nelle due versioni de «La cena» (1989-91).

La mostra, prodotta dal Bildmuseet in collaborazione con il Gund del Kenyon College in Ohio, e curata da Katarina Pierre, Brita Täljedal e Sandra García Herrera, espone la prima litografia Sikán del 1985, una serie di stampe a colori di piccolo formato del 1986 e alcune delle importanti opere monumentali iniziate a partire dal 1988. Realizzate assemblando diverse sezioni stampate singolarmente, ognuna di circa 100x70 centimetri per controllare il processo di stampa, arrivano a essere composte anche da nove o dodici pezzi. Le figure appaiono così quasi a grandezza naturale, suggerendo un’impressione di profondità e una presenza quasi tridimensionale.

Belkis Ayon, «Sin titulo. Sikan con chivo», 1993

Giulia Grimaldi, 19 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

I miti afrocaraibici di Belkis Ayón | Giulia Grimaldi

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