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Un ritratto di Picasso in place Ravignan a Montmartre, Parigi

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Un ritratto di Picasso in place Ravignan a Montmartre, Parigi

I premi 2024 del Giornale dell’Arte • Il libro • Picasso

Come ogni anno, la redazione ha scelto la mostra, il museo, la persona e il libro più importanti o significativi

Emmanuel Guigon

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Annie Cohen-Solal ha pubblicato un capolavoro, un lavoro titanico. Interessante per gli studiosi, piacevole per chiunque

Ho letto Un étranger nommé Picasso di Annie Cohen-Solal in francese, circa tre anni fa quando fu pubblicato in Francia (quest’anno pubblicato in italiano da Marsilio con il titolo Picasso. Una vita da straniero, nella traduzione di Manuela Bertone). Con le sue 800 pagine di ricerca accurata e di nuove coraggiose prospettive sulla vita di Picasso è un capolavoro, uno dei migliori contributi agli studi picassiani da molti anni. I picassiani hanno spesso un punto di vista molto univoco. Annie Cohen-Solal ha scritto un libro che esce dai canoni abituali, un’opera che risulta interessante per gli studiosi, ma può essere letta con piacere da chiunque grazie alla prosa scorrevole e avvincente. Ha portato a termine un lavoro titanico, analizzando fonti mai prese in considerazione prima d’ora e archivi mai esaminati, compresi quelli della polizia e degli uffici governativi, offrendo una visione di Picasso attuale e soprattutto inedita, cosa quantomai difficile da fare considerata la vastissima bibliografia.

Quando Picasso arriva a Parigi è un giovane anarchico, squattrinato e potenzialmente pericoloso, ma soprattutto è uno straniero, non parla il francese e ha gusti e abitudini differenti. Per questo la polizia degli stranieri non solo lo tiene sotto controllo, ma lo scheda. Non è solo l’umiliazione che prova e che rinnoverà ogni due anni quando è obbligato ad andare a firmare alla Prefettura: la sua foto e le sue impronte digitali immagazzinate negli archivi della polizia francese lo seguiranno per tutta la vita, al punto che quando nel 1940 richiede la nazionalità francese, per proteggersi dai nazisti, questa gli viene negata. Nonostante non sia più un giovane sconosciuto e la sua fama inizi a consolidarsi, resta pur sempre uno spagnolo. Uno straniero. Fino al 1947 c’erano solo due opere di Picasso nelle collezioni francesi, perché i membri dell’Académie des beaux-arts lo consideravano un artista d’avanguardia e, come tale, lo accusavano di rovinare il «(buon) gusto francese». Quando finalmente gli offrono la nazionalità negli anni ’60, è un grande artista, un intoccabile. Ormai non ne ha più alcun bisogno e non risponde neanche.

Tornando al libro, Annie Cohen-Solal voleva conoscere a fondo come Picasso viveva il suo essere straniero, emigrante, espatriato, in una terra fondamentalmente xenofoba e ostile, dove avrebbe trascorso buona parte della sua vita. Per questo durante le ricerche è venuta al Museo Picasso di Barcellona per studiare la corrispondenza dell’artista con il suo amico Jaume Sabartés, conservata per intero nel nostro museo. Naturalmente l’autrice ha analizzato in profondità anche la corrispondenza con sua madre. Sono queste le lettere in cui il giovane artista rivela le sue incertezze e fragilità, le umiliazioni e la vergogna di essere uno spagnolo in Francia. È il periodo in cui dipinge «Gruppo di catalani a Montmartre» in cui si ritrae insieme ai suoi amici a Parigi come se fossero dei criminali. In pratica si rappresenta come viene visto dalla polizia e da molti francesi. Parlava di sé stesso o della xenofobia? Aveva già la coscienza della discriminazione che soffrono gli stranieri, che sarebbe sfociata nella crisi migratoria che viviamo attualmente?

Il libro non si ferma qui: rivela la coerenza e la generosità che Picasso dimostra per tutta la vita con la sinistra e anche con i politici di sinistra e si chiede perché sia stato schedato e perseguitato per così tanti anni. Probabilmente l’establishment artistico temeva il Cubismo, la grande innovazione della pittura, simbolo dello scontro fra tradizione e modernità, tra la borghesia delle convenzioni e la bohème della trasgressione. Infine, il libro rivela che, dietro l’artista di genio si celava anche uno stratega politico straordinario: nel 1955, senza mai lamentarsi, decide di andare a vivere in Provenza e di lasciare per sempre la capitale francese. Picasso sceglie il Sud e non il Nord, la provincia e non Parigi, gli artigiani e non l’Accademia e così ritrova la profondità storica e culturale di quello spazio mediterraneo del quale ha sempre fatto parte.

L’autrice non è una storica dell’arte ma viene dalla letteratura e dalle scienze sociali. Io l’ho conosciuta quando stava scrivendo il libro su Paul Nizan, il famoso comunista francese, a cui seguì una biografia molto mediatica di Jean-Paul Sartre. Erano gli anni ’80, quando il presidente François Mitterrand l’aveva nominata consigliere culturale all’Ambasciata di Francia negli Stati Uniti, ed è in questo periodo che Annie Cohen-Solal inizia a interessarsi al mondo dell’arte grazie al suo incontro con Leo Castelli. In Francia collabora con Jean-Hubert Martin in vari progetti, compresa la famosa mostra «Magiciens de la terre» (1989), che gli costa il posto di direttore del Centre Pompidou. La passione di Cohen-Solal per la curatela si riflette in un libro che può facilmente trasformarsi in una mostra, come dimostra la prima, di una lunga serie, allestita nel Musée National de l’Histoire de l’Immigration di Parigi nel 2021 (sino al 2 febbraio 2025 la mostra «Picasso lo straniero» è a Palazzo Reale di Milano). Ciononostante, Picasso non è mai un immigrato, sicuramente uno straniero, forse un alieno, ma soprattutto un espatriato che cerca di migliorare la sua vita e la sua carriera. Non si può paragonare la sua esperienza con quella dei migranti che stanno morendo nel Mediterraneo, ma ci sono delle chiare analogie. Come scrive Annie Cohen-Solal nel libro: «Picasso non è un migrante, è un espatriato per motivi professionali». 

La copertina del volume

Emmanuel Guigon, 11 dicembre 2024 | © Riproduzione riservata

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