Rischa Paterlini
Leggi i suoi articoli«Mario Schifano, Correre rapinoso attraverso le cose del mondo» a cura di Alberto Salvadori, fino al 6 aprile da ABC ARTE, celebra la straordinaria carriera di uno dei più significativi artisti italiani del secolo scorso. La mostra, che in forma diversa è visitabile anche nello spazio genovese della galleria, presenta fotografie, monocromi e materiale multimediale.
Perfettamente inserito nel panorama culturale e internazionale degli anni Sessanta, Mario Schifano (1934-98), esuberante amante della mondanità, affascinante e di talento, ebbe successo in Italia quando ancora non si parlava di globalizzazione. Neppure quarantenne era già una leggenda non solo nell’arte ma anche nella musica, tanto che i Rolling Stones gli dedicarono «Monkey Man».
«Voglio dipingere la pittura», diceva di sé, e ne sono una dimostrazione le pennellate di colore che caratterizzano le superfici monocrome e lo spazio concettuale del suo lavoro. Tra le opere in mostra, un quadrato rosso circondato da una cornice di pittura bianca (quasi a ricordare il perimetro di una diapositiva) diventa emblematico del suo sguardo sul mondo, spesso filtrato dall’obiettivo della macchina fotografica. Come rammentava Maurizio Fagiolo dell’Arco, «non vede una cosa, ma la vede inquadrata, la vede angolata».
Tagli e punti di vista inconsueti caratterizzano gli scatti di Schifano, in grado di aprire a nuove prospettive sui soggetti che immortala, come nei lavori legati ai suoi viaggi on the road in America, tra il 1963 e il 1970, con Nancy Ruspoli. Il primo di questi venne finanziato dal produttore Carlo Ponti, che gli commissionò un film, purtroppo mai realizzato, anche se gli scatti diventarono invece la premessa di un periodo di opere di matrice fotografica che durerà a lungo.
Nella «veduta a volo d’uccello» che ritrae una strada di New York la natura idealizzata è scomparsa, sostituita da cartelloni stradali e automobili, ma anche l’uomo e il suo sguardo sono cambiati, soprattutto dopo l’arrivo della televisione. Ed è proprio attraverso l’immagine televisiva che l’artista sviluppa un nuovo linguaggio, riprendendo scatti direttamente dagli schermi accesi della sua casa e del suo studio, poi rielaborati dalla sua manualità artistica.
La testa china, forse immersa nei pensieri o nell’azione creativa, seduto, con le gambe in movimento e, davanti a lui, su un tavolino, sono adagiati alcuni fogli. Così, «Ritratto, anni ’60» cattura in bianco e nero l’essenza dell’artista, capace, come ha scritto Giorgio Agamben, di ricevere in pieno viso il fascio di tenebra che proviene dal suo tempo.
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