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Elena Franzoia
Leggi i suoi articoliChe cosa spinge gli attivisti ad attaccare le opere d’arte pensando di sensibilizzare sulla crisi climatica? E perché le statue vengono abbattute quando il potere cambia? Sono alcune delle domande cui mira a rispondere la mostra «Iconoclastia. L’arte come campo di battaglia» (fino al 18 maggio) curata alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen dall’archeologa classica Anna Wirenfeldt Minor. La rassegna si avvale per l’allestimento degli scenografi artisti Mai Katsume e Magnus Pind, che hanno giocato sull’antitesi distruzione-costruzione esaltandola grazie all’uso di audio e video.
«La mostra guarda all’iconoclastia come forza che ha plasmato e rimodellato il mondo, lasciando segni duraturi nell’arte, nella cultura e nella memoria, afferma Wirenfeldt Minor. L’idea ha preso forma nel 2020, in mezzo ai dibattiti globali su significato e ruolo dei monumenti pubblici nella società. Mentre circolavano immagini di statue abbattute e deturpate, non ho potuto fare a meno di pensare a casi simili presenti nelle nostre collezioni di arte greca e romana. All’epoca avevo appena iniziato a lavorare alla Glyptotek ed ero colpita da quanti reperti portassero tracce di distruzione: ritratti di imperatori riscolpiti, iscrizioni cancellate, faraoni deturpati e sculture ridotte in pezzi e riutilizzate come materiale da costruzione. Alcuni di questi danni erano il risultato di sconvolgimenti politici, religiosi o ideologici, mentre altri erano dovuti al mutare del gusto o a semplici aspetti pratici. Ciò che mi affascinava era il modo in cui questi antichi atti iconoclasti rispecchiavano modelli che ritroviamo tuttora».
Un tema di assoluta attualità che Wirenfeldt Minor ha imperniato «intorno a due idee chiave: l’iconoclastia come forza sia distruttiva sia creativa, e il museo come lente per esplorare queste trasformazioni. Sebbene sia spesso vista solo come atto distruttivo, l’iconoclastia conferisce agli oggetti nuovi significati e funzioni, attraversando il tempo e la geografia e rendendo difficile definire i confini. In questo caso la collezione stessa ha stabilito i parametri, plasmando quali storie di distruzione vengono presentate. La mostra non solo ripercorre come manufatti provenienti da Egitto, Assiria e Roma siano stati oggetto di iconoclastia, ma esamina anche come i musei, attraverso pratiche di raccolta selettiva, conservazione e curatela, abbiano svolto un ruolo nel plasmare la storia, rendendosi attori iconoclasti a pieno titolo. L’attenzione principale è rivolta all’antichità, ma presentiamo in video esempi odierni, creando un dialogo tra passato e presente e mettendo in scena gli oggetti come fossero attori».
In mostra compaiono importanti prestiti internazionali, provenienti anche dai Musei Vaticani e dai Musei Civici di Vicenza. «Sebbene la nostra collezione contenga molte opere segnate dall’iconoclastia, le tracce della distruzione non sono sempre evidenti, conclude la curatrice. Alcuni danni sono il risultato del tempo, dell’erosione o di forze naturali, mentre altri sono atti inequivocabilmente intenzionali. Ecco perché, quando ho selezionato i prestiti, ho cercato oggetti in cui la violenza fosse innegabile. Grazie alla collaborazione con istituzioni come i Musei Vaticani, l’Altes Museum e il British Museum, presentiamo opere eccezionali le cui cicatrici raccontano storie potenti. Pochi reperti sono significativi quanto una statua mutila di Afrodite proveniente dal Rheinisches Landesmuseum Trier. Un tempo dea dell’amore, è ora un pezzo di marmo deforme, la cui distruzione riflette i mutati atteggiamenti verso la nudità femminile nel periodo cristiano. Nel Medioevo infatti la statua fu incatenata fuori da un’abbazia e lapidata, forse dai fedeli, dai pellegrini o persino dai bambini, finché non rimase ben poco della sua forma originale. Un buco sul fianco segna ancora il punto in cui una catena la legava. Dietro di lei, un’iscrizione le dà voce: “Vuoi sapere cosa sono? Ero un idolo. Sant’Eucario mi ha spezzato e mi ha rubato l’onore. Ero adorata come una dea. Ora sono qui, sbeffeggiata dal mondo”. Per rendere questa storia tangibile, abbiamo lavorato con un’artista Asmr (acronimo di risposta autonoma del meridiano sensoriale. Gli artisti Asmr creano contenuti rilassanti e divertenti, Ndr) che recita l’iscrizione ad alta voce, rendendo la distruzione una storia di violenza mai veramente scomparsa».

Agrippina Minor. Foto: Anders Sune Berg. © Ny Carlsberg Glyptotek