Una vicenda ha dominato il settore museale quest’anno: la rivelazione che il British Museum ha perso migliaia di manufatti di valore inestimabile in sua custodia. «Riteniamo di essere stati vittime di furti per un lungo periodo di tempo», ha dichiarato George Osborne, presidente del museo, in un’intervista a Radio 4 della Bbc in agosto. Tra le conseguenze immediate, numerosi Governi di tutto il mondo hanno raddoppiato le richieste di restituzione dei reperti conservati dal British Museum.
La prima risposta è arrivata dal Governo greco, che ha mandato all’aria il piano di «condivisione» dei marmi del Partenone a lungo negoziato da Osborne. In un’intervista rilasciata al quotidiano greco «To Vima», il ministro greco della Cultura Lina Mendoni ha dichiarato che l’argomentazione secondo cui i marmi sarebbero più al sicuro a Londra che in Grecia è «crollata». Ha detto: «Quando questo accade dall’interno, al di là di ogni responsabilità morale e penale, sorge un grande interrogativo sulla credibilità della stessa organizzazione museale».
Il Governo nigeriano ha subito seguito l’esempio, chiedendo la restituzione dei bronzi del Benin. «È scioccante sentire che i Paesi e i musei [occidentali, Ndr] che ci hanno detto che i bronzi del Benin non sarebbero stati al sicuro in Nigeria hanno subito dei furti», ha dichiarato a «Sky News» Abba Isa Tijani, direttore della Commissione nazionale nigeriana per i musei e i monumenti.
Anche i rappresentanti culturali di Ghana ed Etiopia hanno chiesto al museo di restituire i loro manufatti. Lo storico dell’arte Nana Oforiatta Ayim, che ha curato il primo padiglione della Biennale di Venezia del Ghana nel 2019, in un’intervista al «New York Times» ha dichiarato che l’affermazione del British Museum di prendersi cura dei manufatti africani meglio degli Stati da cui provengono è «razzista, patriarcale e paternalistica».
Sono intervenute anche Nazioni che non hanno precedentemente affrontato il museo inglese per i suoi manufatti. In agosto, un editoriale del «Global Times», il quotidiano statale cinese in lingua inglese, ha affermato: «La stragrande maggioranza dell’enorme collezione del British Museum, che conta fino a otto milioni di oggetti, proviene da Paesi diversi dal Regno Unito, e una parte significativa di essa è stata acquisita attraverso canali impropri, persino con mezzi sporchi e illeciti». In India, invece, i media si sono concentrati sulla restituzione del controverso diamante Koh-i-Noor, incastonato nella corona della regina Vittoria e parte della Collezione Reale nella Torre di Londra.
In un articolo pubblicato dalla nostra testata sorella «The Art Newspaper», l’accademico di Oxford Dan Hicks è stato inequivocabile: «L’ultimo argomento rimasto contro la restituzione è ormai caduto». Il British Museum ha avviato un’indagine indipendente alla ricerca di un nuovo direttore. Il tempo ci dirà se si atterrà al progetto di conservare i marmi del Partenone e gli altri manufatti. Ma sembra chiaro che il 2023 sarà ricordato come l’anno in cui il dibattito si è definitivamente concentrato sulla ragione delle restituzioni e sulla sempre più discussa idea che i musei «mondiali» siano i legittimi detentori di manufatti di valore inestimabile di altre Nazioni.
Conflitto e distruzione
Dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre di Hamas contro i civili in Israele, la devastante guerra a Gaza ha causato la perdita di migliaia di vite e la distruzione di moschee e siti archeologici. Sebbene la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina sia passata in secondo piano nei notiziari, gli edifici culturali e del patrimonio ucraino continuano a essere bombardati e distrutti. In giugno, si sospetta che l’acqua della diga di Nova Kakhovka, nella provincia di Kherson, occupata dai russi, nel sud dell’Ucraina, abbia sommerso la casa della defunta artista ucraina Polina Rayko.
L’Unesco si è mossa per proteggere l’Ucraina inserendo il centro storico di Odessa, la Cattedrale di Santa Sofia a Kiev e il complesso monastico Kyiv-Pechersk Lavra, nonché l’intero centro storico della città di L’viv (Leopoli), nella lista dei siti in pericolo del Patrimonio mondiale. Odessa, appena protetta, è stata sottoposta a luglio a un intenso bombardamento aereo.
I combattimenti hanno anche portato a un acceso dibattito sulla restituzione. Un’inchiesta di «The Art Newspaper» ha sollevato serie preoccupazioni sul fatto che le opere d’arte prese dalle truppe russe nell’Ucraina occupata potrebbero non essere rimpatriate una volta terminati i combattimenti. In novembre centinaia di dipinti sono stati rimossi dal Museo d’arte regionale di Kherson e spediti a Simferopol in Crimea, territorio occupato dalla Russia nel 2014. Altri musei ucraini hanno subito destini simili.
Le opere del museo di Kherson sono ora conservate in una sala concerti del Museo d’arte di Simferopol (parte del museo centrale di Taurida), diretto da Andrei Malgin. Malgin, nato a Simferopol, è politicamente vicino al presidente russo Vladimir Putin ed è stato uno dei principali sostenitori dell’occupazione della Crimea da parte della Russia.
Una svolta verso il basso in Cina
Quest’anno sono emerse notizie sulla portata della crisi economica cinese, che non ha avuto eguali dalla crisi finanziaria globale del 2008. L’impatto sul fiorente settore museale del Paese potrebbe essere profondo.
La pandemia ha continuato a svolgere un ruolo significativo nel 2023. In gennaio, la Cina ha riaperto le frontiere ai visitatori internazionali per la prima volta dal marzo 2020. Ma le politiche «zero Covid-19» del presidente Xi Jinping hanno avuto un forte impatto sull’industria delle costruzioni, portando in parte al potenziale default di Evergrande e Country Garden, i due maggiori promotori immobiliari del Paese. Non si sa ancora che cosa questo significhi per il settore museale cinese, ma i commentatori hanno evidenziato segnali preoccupanti. La vendita all’asta di una quantità significativa di opere d’arte del Long Museum di Shanghai, uno dei musei d’arte privati più apprezzati della Cina, da parte di Sotheby’s a Hong Kong in ottobre è stata preoccupante. Inoltre, si è assistito al significativo ridimensionamento dello Yuz Museum di Shanghai e alla chiusura dello Shanghai Centre of Photography.
Turbolenze politiche, attivismo e cambiamenti climatici
L’aumento globale dei movimenti populisti e dei Governi autoritari continua ad avere un impatto sul settore dei musei e del patrimonio culturale. In gennaio, durante l’insediamento di Lula da Silva alla presidenza del Brasile, i sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro hanno preso d’assalto il Congresso nazionale brasiliano, la Corte suprema federale e il Palazzo presidenziale di Planalto, causando ingenti danni alle opere d’arte.
In Africa, i presidenti di Niger e Gabon sono stati rovesciati da colpi di stato, mentre in Sudan in aprile è scoppiata una guerra civile tra l’esercito nazionale e il gruppo paramilitare populista delle Rapid Support Forces. I siti protetti del patrimonio culturale in ognuno di questi Paesi sono stati oggetto di violenze.
Le azioni dirette sul clima si sono intensificate nel corso del 2023, con gruppi come Just Stop Oil e Extinction Rebellion che hanno utilizzato i musei come luoghi di protesta. Nell’ottobre 2022, gli attivisti di Just Stop Oil hanno gettato barattoli di zuppa di pomodoro su un dipinto di Vincent van Gogh alla National Gallery di Londra. A novembre, invece, hanno intensificato le loro azioni al museo, attaccando con un martello la «Venere Rokeby» di Velázquez.
Non c'è dubbio che il cambiamento climatico continui a esercitare un enorme impatto sulla capacità del mondo di proteggere i luoghi del patrimonio universale. Tra i disastri naturali più catastrofici ci sono i terremoti che hanno colpito la Turchia e la Siria in febbraio, causando quasi 60mila morti e distruggendo molti siti archeologici ed edifici antichi. In settembre, un terremoto di magnitudo 6,8 ha colpito il Marocco occidentale, causando danni al settore museale del Paese e ai siti protetti del patrimonio.
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