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Nicoletta Biglietti
Leggi i suoi articoliC'è un filo che attraversa le cose. Sottile e potente. Capace di legare storie, mani, oggetti e tempo. È questo il filo che Stéphane Thidet ha scelto come protagonista della sua installazione «Le Fil Rouge» sulla facciata di Christie’s a Parigi, visibile fino all’11 gennaio 2026. Perché chi passeggerà davanti al 9 di Avenue Matignon, all’ingresso di un’arteria ormai epicentro del mondo dell’arte parigino, non si limiterà a vedere un edificio. Percepirà un gesto, un ritmo; un segno che collega passato e presente in quell’edificio che racconta una storia di sartoria e successo.
Progettato nel 1914 da René Sergent – noto per il museo Nissim de Camondo, alcune gallerie del museo Guimet e autore di prestigiosi edifici anche in Stati Uniti, Argentina e Regno Unito – con la sua elegante facciata, l'edificio segnò l’apice della maison Callot Sœurs, di cui discende l’attrice Isabelle Huppert. Christie’s occupa questo spazio dal 2001, dando vita a un luogo in cui arte contemporanea e mercato internazionale si incontrano. Ora però quell'arte esce dalle pareti e invade la facciata grazie a Thidet. Nato a Parigi nel 1974 e formatosi all’École des Beaux-Arts di Rouen e all’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi, l'artista ha costruito un linguaggio fatto di distorsioni poetiche, materiali elementari e interventi site-specific pensati per risvegliare lo spirito di un luogo. La sua poetica si fonda sulla manipolazione di oggetti e forme per far emergere ciò che di solito sfugge allo sguardo, evitando la routine quotidiana e mantenendo curiosità, sensibilità ed emozione. L’installazione parigina utilizza un motivo continuo che attraversa balconi e cornici, ispirato ai ritmi delle cucitrici e alla «Invisible Hem Stitch» – una tecnica di cucitura a mano o a macchina che crea un orlo invisibile sul diritto del tessuto– simbolo di trasmissione e legame, che collega la storia del palazzo alla memoria familiare di Thidet: «Queste quattro sorelle erano delle avventuriere nella loro industria, e il loro percorso mi ha toccato perché mia nonna lavorava in una casa di moda quando arrivò a Parigi». Il filo che attraversa l’edificio introduce il cuore della ricerca di Thidet: trasformare gli spazi con gesti minimi, rendendo visibile ciò che di solito passa inosservato.
L’opera è pensata per sorprendere il pubblico urbano: passanti distratti diventano «spettatori inaspettati» e ciò che di solito sfugge agli occhi ritorna a vibrare, come in «Rideau» a Nantes o «Impact» a Le Havre, dove Thidet introduce leggere distorsioni o aggiunte che fanno riscoprire lo spazio. Tra le sue influenze figurano Christo e Jeanne-Claude – «Ovviamente questi due artisti fanno parte del mio paesaggio culturale» afferma –, così come Vera Molnár, Pierrette Bloch, Gordon Matta-Clark e Michael Heizer, e l’incontro con i murali di Mark Rothko alla Tate di Londra, che lo ha folgorato: «Non sapevo che la pittura potesse essere così, una pittura che esce dalla sua cornice, che prende “vita” davvero oltre la tela». I materiali elementari – legno, acqua, terra e luce – derivano dalle sue prime esperienze nella campagna francese, con una forza visiva e poetica condivisibile da tutti. Da questi lavori nasce l’intervento per Christie’s: stesso approccio, stessa idea di dialogo con l’ambiente. Ogni opera di Thidet modifica la percezione di un luogo, invitando chi passa a guardare di nuovo.
Oltre all’installazione pensata per Christie's, Thidet è noto per altre opere site-specific di grande impatto: dal 2006 ha esposto alla Conciergerie di Parigi, a La Maréchalerie di Versailles, alla Villa Medici di Roma, e più recentemente «Refuge» al Voorlinden Museum vicino all’Aia. Secondo Farhad Kazemi, curatore al Louvre, «Thidet crea sempre opere potenti che non hanno bisogno di spiegazioni. Pur portando sempre un messaggio forte, parla direttamente ai sensi e all’immaginazione». I suoi riferimenti spaziano dalla natura e le sue contraddizioni, a scrittori come Lewis Carroll e Henry David Thoreau, e il suo mondo, intriso di mistero e semplicità, evoca lo stupore dell’infanzia. «La routine è ciò che cerco di evitare. Il mio obiettivo non è rimanere intrappolato nel vortice della vita quotidiana, che poco a poco cancella ciò che è bello, forte e semplice davanti ai nostri occhi», afferma Thidet. Ed è questo lo spirito guida anche «Le Fil Rouge», che intreccia storia, memoria, ritmo e trasmissione, offrendo a chi osserva l’occasione rara di percepire la città e l’arte come un continuum invisibile di connessioni. Quest’installazione, svelata a pochi giorni dall’apertura ufficiale della Paris Art Week da parte dell’Associazione Matignon Saint-Honoré, rappresenta non solo un omaggio alla storia dell’edificio e della moda francese, ma anche una dichiarazione di poetica urbana, capace di rendere visibile ciò che spesso passa inosservato, trasformando un angolo di Parigi in esperienza sensoriale e contemplativa.
Stéphane Thidet, «Le Fil Rouge», 2025, Christie’s Parigi. Credits Jean-Philippe Humbert. Courtesy l’artista e della Galerie Aline Vidal.
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