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Il Garage nell’ex ristorante

Sophia Kishkovsky

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Il Garage Museum for Contemporary Art di Dasha Zhukova apre il 12 giugno nel Gorky Park nella nuova sede costata 27 milioni di dollari (cfr. n. 346, ott. ’14, p. 13). Ubicato in un padiglione dell’epoca sovietica trasformato dall’architetto olandese Rem Koolhaas, all’interno propone tra l’altro una «Infinity Room» di Yayoi Kusama. Un’altra installazione dell’86enne artista giapponese, «Ascension of Polka Dots on trees», sarà visibile nel parco moscovita. «Il Garage negli ultimi tempi ha puntato molto sulle mostre più partecipative, spiega Kate Fowle, curatore capo del Garage, e la Kusama va in questa direzione. È un’immersione psicologica ed emotiva nel suo lavoro». Koolhaas ha trasformato Vremena Goda, un padiglione ristorante prefabbricato costruito come prototipo nel Gorky Park nel 1968, nella nuova sede del Garage, la terza dal 2008, tutte con un notevole pedigree architettonico. La Zhukova, compagna del magnate Roman Abramovic, scelse come prima sede per il suo centro di arte contemporanea un’ex rimessa per autobus in stile costruttivista degli anni ’20 progettata da Konstantin Melnikov. Nel 2012, il centro (ora un museo) si trasferì in una sede temporanea a Gorky Park, progettata dall’architetto giapponese Shigeru Ban, che la firmò utilizzando il suo materiale-simbolo, il cartone. Koolhaas, che aveva visto per la prima volta l’edificio quando era andato in Unione Sovietica da giovane, ha ottimizzato lo spazio di Vremena Goda rivestendo la struttura di cemento armato con una pelle continua di pannelli di policarbonato alveolare traslucido (appositamente ottimizzati e realizzati dall’italiana Dott. Gallina srl di La Loggia, Torino) e installando quasi tutti gli impianti tecnici nell’intercapedine tra i due materiali. Anton Belov, direttore del museo, spiega che gli elementi decorativi rimasti dell’era sovietica («piastrelle, mosaici e mattoni»), sono stati restaurati da un team italiano. Nell’atrio i visitatori trovano una serie di opere su commissione (a partire dalla prima opera di grandi dimensioni a Mosca del pioniere della Sots Art sovietica degli anni ’60 Erik Bulatov) accostate al mosaico «d’autunno» del padiglione, l’unica porzione superstite delle Quattro Stagioni o «Vremena Goda». Un’opera di Louise Bourgeois in prestito dalla fondazione dell’artista sarà installata in settembre. L’artista Rashid Johnson, nato a Chicago, è impegnato su un lavoro la cui consegna è prevista per marzo 2016. Johnson ha avuto accesso agli archivi russi, tra cui quello di una biennale in Africa dell’era sovietica. Fowle sottolinea il fatto che il Garage offrirà la prima opportunità ad artisti internazionali di realizzare in Russia grandi opere site-specific.

Archivi e biblioteca

In ottobre il Garage ospiterà una conferenza sul Modernismo sovietico, un progetto del curatore austriaco Georg Schöllhammer, che dall’inizio di quest’anno collabora come consulente del museo. In maggio, il museo ha annunciato i nomi del comitato di consulenti, che comprende il direttore del Los Angeles County Musuem of Art Michael Govan e il co-direttore della Serpentine Gallery di Londra Hans Ulrich Obrist. Il Garage possiede anche un archivio e ospita la prima biblioteca pubblica russa di arte contemporanea. «L’archivio è la più grande raccolta al mondo dedicata allo studio delle dinamiche che caratterizzarono l’arte russa dalla metà degli anni ’50 in avanti, afferma Belov, secondo il quale «il Garage ha modificato radicalmente il paesaggio culturale russo».  Il museo, finanziato privatamente dalla Iris Foundation di proprietà della Zhukova, finora è riuscito a evitare di entrare in collisione con la nuova politica conservatrice e moralista della burocrazia governativa e degli attivisti della chiesa ortodossa russa, che protestano contro la sovvenzione pubblica di arte ritenuta offensiva. Visti i recenti eventi nel Paese, il Garage potrebbe sembrare allineata con la tendenza dominante della politica russa. Kate Fowle, ex presidente del Master per curatori del California College of the Arts di San Francisco e poi curatore dell’Ullens Center for Contemporary Art di Pechino, ha infatti dichiarato che i commentatori occidentali spesso pensano, erroneamente, che in un Paese come la Russia gli artisti debbano per forza contestare la situazione politica. E rivendica invece che «l’arte è un canale per esplorare temi politici e sociali in modo originale e impossibile con altri strumenti. Non penso che la sua funzione sia di cambiare la politica, e sarebbe ingenuo, ma si può creare uno spazio aperto alla discussione, dove si possa dare voce alle diverse prospettive di tutti».

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Sophia Kishkovsky, 03 giugno 2015 | © Riproduzione riservata

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