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Arabella Cifani
Leggi i suoi articoliDurante la Messa Crismale del 28 marzo 2013, papa Francesco, da poco eletto, si rivolse così ai vescovi e ai preti: «Questo io vi chiedo: siate pastori con l’odore delle pecore». La frase fece rapidamente il giro del mondo e tutti si cimentarono nel commentarla. Che cosa aveva voluto dire il papa? Qualcuno ci ironizzò sopra e consigliò del deodorante. Francesco invece aveva centrato una delle questioni cruciali della Chiesa: stanno i pastori vicino al loro popolo? Partecipano della loro vita? La conoscono? Sanno riconoscere l’odore del gregge a loro affidato o sono solo dei burocrati? O per loro vale una mezza frase evangelica «Ego sum Via» (nel senso che non li trovi mai quando ne hai bisogno) non seguita da altre spiegazioni? Dove trovarli oggi i sacerdoti, sempre di corsa, sempre affannati? E poi, affannati dietro a che cosa?
Andate a Napoli al Museo di Capodimonte, museo eccelso fra i musei del mondo, e piazzatevi davanti a un quadro che vi darà tutte le spiegazioni e le risposte di cui avete bisogno. È il celeberrimo «Annuncio ai pastori» di un pittore del primo Seicento che era, e resta, senza nome, nonostante una caterva di identificazioni e segnalazioni al cui confronto le ricerche di «Chi l’ha visto?» sembrano un’inezia.
È un pittore, di eccelso livello artistico, che trae il suo nome da una serie di dipinti dedicati a temi biblici che, nella resa dei capelli e della barba, del vello degli ovini, delle epidermidi segnate dalle intemperie e dal trascorrere del tempo, permettevano di sviluppare gli aspetti più realistici della pittura napoletana del suo tempo. Attivo a Napoli nel secondo quarto del XVII secolo ha forti punti di contatto con Ribera. Dipinse diverse versioni dell’Annunciazione ai pastori, da cui il suo soprannome. L’artista fu identificato nel 1958 per la prima volta da Ferdinando Bologna nell’omonimo dipinto del Birmingham Museum and Art Gallery (un tempo attribuito a Velázquez). Negli anni successivi, l’elenco delle sue opere si è notevolmente ampliato e sono state avanzate diverse ipotesi sulla sua identità, ma il caso resta aperto.
Qui non ne facciamo, per una volta tanto, una questione di attribuzione o di filologia; guardiamolo, invece, questo quadro per quello che è, e guardiamolo bene. Caravaggesco della prima ora, raffigura un gruppo di pastori che ricevono l’annuncio dagli angeli secondo il racconto evangelico di Luca (2.1-7): «C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore». Eccoli i pastori, stavano tranquilli, a dormire e a scaldarsi fra le loro bestie e, all’improvviso, dall’alto gli si materializzano davanti due angioletti grassi, che si fa fatica a pensare possano volare dal momento che sembrano due rolatine. Fra i panni svolazzanti parlano a questi quattro pecorai e dicono loro cose inaudite, cose che tutti i re e i patriarchi e i profeti della Bibbia avrebbero voluto sentirsi dire e per le quali hanno spasimato e atteso nei millenni, e che invece vengono annunciate a questi straccioni. Nel caos e nella povertà delle loro vite i pastori vedono apparire, secondo la promessa biblica di Isaia (9,1), la luce, la vera luce. «Un popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse».
Sono degli straccioni, sudici, con croste di sporco sedimentato, tanto che le loro carni, che sarebbero chiare, finiscono con il parere livide. I piedi callosi, grossi, rozzi, non hanno mai visto l’acqua e hanno sotto la pianta una crosta scura e compatta che fa da suola. Delle mani meglio non dire. Quelle due meravigliose e miti pecore che stanno sulla destra in primo piano, e intercettano la luce migliore, hanno il vello dipinto pelo a pelo, un vello così sporco che è perfettamente degno dei loro custodi. Una delle pecore volge il capo verso gli angeli e pare che ascolti, l’altra stolida, continua a brucare; così succede fra gli umani: a non tutti è dato di capire la Buona Novella.
Un pastore dorme avvolto in un manto azzurro che gli scivola via e lascia vedere le vesti da pezzente che indossa, un altro dorme rannicchiato al centro. Hanno il sonno pesante per la fatica d’ogni giorno che ottenebra anche il cervello: capiranno? Si sveglieranno? Due però sono desti. Uno, assai giovane, congiunge le mani davanti agli «angiolotti» bisbiglianti come due passeri e l’altro (quello dei piedi sporchi) ascolta concentrato, tirandosi su con tutto il corpo. Sulla destra estrema sta un cavallo grigio, non certo di razza, un animale abituato anche lui a fatiche e botte, pure lui inzaccherato e con la criniera arruffata.
Questo quadro puzza. Puzza di sterco di pecore e di sterco di cavallo che fermentano, puzza di umori e sudori che traspirano dai quattro uomini, puzza di velli intonsi e mai lavati. La lana delle pecore è per sua natura untuosa e untuosi, sudati e incrostati sono anche i pastori. A meditarlo bene fa venire in mente il De Re Rustica (I secolo d.C.) di Lucio Giunio Moderato Columella, che descrive le attività agricole svolte nelle ville con l’allevamento di bestiame come pecore e capre, e si diffonde nel descrivere il loro prezioso sterco così utile come concime anche se putrido. Storie che oggi non conosciamo più. Certo meglio questi odori che quelli di una fabbrica chimica, ma il tanfo esce fuori dal quadro e prende alla gola. E il pittore lo ha fatto apposta.
Questo è uno dei quadri più emozionanti della storia dell’arte europea e non racconta un’epopea regia, amori mitologici, storie di eroi: è il racconto semplice della nascita di Cristo, di un bambino povero, che avvenne in un ambiente più o meno sordido come quello qui descritto. È per questi cenciosi che Gesù è venuto al mondo ed è per loro nel Vangelo di Matteo (11,25-27) che ringrazia Dio Padre «perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli».
Altri capolavori ha macinato il Maestro. A dieci anni dalla morte di Caravaggio, fra il 1630 e il 1631, mentre le ossa del sommo lombardo si scioglievano in una fossa comune a Porto Ercole, dipinge un’altra scena molto simile (Birmingham Museums and Art Gallery), anche se più composta e studiata e quindi un po’ meno felice di quella di Capodimonte. E poi un «Annuncio ai pastori» molto vicino a quello di Capodimonte che nel 1981 fu nella Galleria di Patrik Matthiesen a Londra, dove compare un identico angioletto/salsicciotto che parla all’unico dei pastori che è sveglio e lo ascolta. In un disordine e in un generale lerciume, che comprende anche un fumoso focherello di sterpaglie, le insonnolite pecore sono diventate tre. Anche in questo caso quasi nessuno capisce nulla di quell’apparizione angelica e la parabola da ricordare in questo caso è quella del Seminatore (Matteo 13:1-9, Marco 4:1-9, Luca 8:4-15) dove si spiega che la Parola di Dio (il seme) viene accolta in modi diversi a seconda del «terreno» del cuore umano. Qualcuno capirà e qualcuno no, ma guai agli uomini di cattiva volontà.
Che cosa insegnano a Natale quadri come questi che paiono prendere vita sull’onda della musica di Corelli scritta per la «Notte del Natale» o della «Cantata da recitarsi la notte del Ss.mo Natale» di Domenico Scarlatti? Potrebbero dirci molto, ma noi oggi nel diffuso nichilismo del mondo Occidentale abbiamo dimenticato tutto. Il Natale di questi pecorai è lontanissimo dai nostri minuscoli e disorientati natali, considerato che la maggior parte della gente ormai non sa nemmeno che cosa si celebra e, all’americana, parla di «Season’s Greeting». Sono spariti i profeti, sono spariti gli angeli e stanno sparendo anche i pastori. Quelli di Betlemme, esattamente come noi, non erano degni del Signore, ma senza capire niente, proprio come accade nel quadro, lo accolsero, semplicemente, e in quel moto del cuore si aprirono la porta stretta dell’Eternità.
Pittore del primo Seicento, «L’Annuncio ai pastori», Birmingham Museum
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