Constanza Ontiveros Valdés
Leggi i suoi articoliLo scorso ottobre, appena una settimana dopo l’insediamento della nuova presidente messicana Claudia Sheinbaum, ha avuto luogo il primo rimpatrio della sua amministrazione. Durante una cerimonia svoltasi all'Università di Montreal sono state restituite al Messico 84 asce mesoamericane in pietra verde. Nelle settimane successive gli Stati Uniti hanno restituito porte coloniali, un dipinto di Rafael Coronel e 182 oggetti mesoamericani. Il 14 novembre, giornata internazionale dell'Unesco contro il traffico illecito di beni culturali, 220 manufatti sono rientrati nel Paese da Argentina, Canada, Stati Uniti e Svizzera.
Le trattative per queste restituzioni erano in corso prima della salita al potere di Sheinbaum.Ora, soprattutto alla luce dell’impegno dimostrato dal suo predecessore nel riportare a casa le antichità, ci si chiede quale orientamento attendersi attendersi dalla nuova leader messicana, .
Tra il 2018 e il 2024, sotto la presidenza di Andrés Manuel López Obrador, sono stati restituiti al Messico circa 14mila oggetti. Un risultato dovuto in parte alla campagna social mediatica #MiPatrimonioNoSeVende (il mio patrimonio non è in vendita), che promuove la restituzione dei beni culturali oggetto di traffici illeciti. Un ruolo importante lo ha svolto anche la creazione, nel 2021, di una task force della Guardia Nacional per la protezione del patrimonio, ispirata al Nucleo dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale italiano in Italia. Uno dei rimpatri più importanti della precedente amministrazione è stato il Monumento 9 di Chalcatzingo, noto come il «portale degli inferi», un’enorme scultura olmeca in pietra restituita dagli Stati Uniti nel 2023.
Nonostante i recenti successi, però, un oggetto che il Paese reclama con forza continua a rimanere all’estero: il copricapo di Moctezuma, l'emblematico ornamento di piume di quetzal conservato al Weltmuseum di Vienna. Il copricapo lasciò il Messico dopo il primo contatto degli Aztechi con gli europei nel Cinquecento. López Obrador ha contribuito a riaccendere il dibattito sulla sua restituzione, ma questo non è bastato a far tornare il copricapo in Messico, soprattutto a causa della fragilità del manufatto. Riuscirà Sheinbaum a riportarlo finalmente in Messico?
Lotta al saccheggio
Le 84 asce restituite a Montreal appartengono probabilmente alla più antica civiltà della Mesoamerica. Il loro rimpatrio volontario da parte di un cittadino canadese è stato avviato dal consolato messicano di Montreal e la cerimonia è stata organizzata in collaborazione con l'Università di Montreal. «L'evento pubblico di rimpatrio delle asce aveva lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’etica in antropologia, ha spiegato a “The Art Newspaper” Isabelle Ribot, professore associato di antropologia all'Università di Montreal. Soprattutto l'archeologia, che, come disciplina, oggi combatte il saccheggio». All’evento in Canada hanno partecipato anche rappresentanti dell’Instituto Nacional de Antropología e Historia (Inah) messicano, che dal 1939 vigila sul il patrimonio del Paese. Secondo Laura Del Olmo, vicedirettrice dell’archeologia presso il Museo Nacional de Antropología dell’Inah, le asce probabilmente sono olmeche e potrebbero essere state utilizzate in una «massiccia offerta rituale».
Legge, ideologia e diplomazia
La maggior parte degli oggetti restituiti al Messico sono di epoca preispanica. Una legge del 1972 stabilisce che tutti i manufatti archeologici appartengono alla Nazione. Prima della promulgazione della legge, i collezionisti acquistavano le antichità messicane attraverso canali non regolamentati. Il saccheggio è proseguito anche a legge approvata, e coloro che hanno ottenuto gli oggetti prima del 1972 non sono obbligati a restituirli. «Nonostante tutti i divieti, il fascino internazionale dell'arte mesoamericana come arte esotica rara, unitamente al suo valore simbolico, continua ad alimentarne il commercio illecito», afferma Ana Garduño, ricercatrice presso l’Instituto Nacional de Bellas Artes del Messico. Altri fattori influiscono sul modo in cui il pubblico percepisce il rimpatrio, che avviene da decenni, anche se in misura minore. «Il rimpatrio ha una componente ideologica in quanto, fin dall’epoca postrivoluzionaria, lo Stato ha legato l’identità del Messico al suo passato indigeno, sostiene Rita Sumano, esperta di tutela del patrimonio messicano. E il copricapo di Moctezuma è un simbolo di questa identità». Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui il Governo si è dimostrato così desideroso di riaverlo.
È significativo che finora, durante l’amministrazione Sheinbaum, i rimpatri siano stati volontari, a dimostrazione della crescente decolonizzazione globale delle narrazioni storiche, che vede le istituzioni accademiche in prima linea. Gli oggetti sono stati spesso restituiti ai consolati e alle ambasciate del Messico, il cui ruolo nel rimpatrio è cruciale. Nel bene e nel male, questo ha influito sulle relazioni diplomatiche. Le relazioni di lunga data del Canada con il Messico, ad esempio, hanno agevolato i rimpatri recenti, quattro dei quali solo da Montreal a partire dal 2023 (tra cui i resti di un bambino mesoamericano di duemila anni fa dell‘Università di Montreal). Víctor Treviño, console generale del Messico a Montreal, sottolinea come i forti legami del Paese con il Canada abbiano permesso «la collaborazione tra enti pubblici e privati per facilitare la restituzione dei reperti archeologici». Al contrario, i dibattiti sulla restituzione hanno talvolta portato a frizioni diplomatiche, come nel caso dell’Austria nella disputa per il copricapo di Moctezuma. Nel 2020 López Obrador ha incaricato sua moglie, Beatriz Gutiérrez Müller, di recarsi a Vienna per chiedere il prestito temporaneo del copricapo in occasione del 200mo anniversario dell’indipendenza messicana dell’anno successivo. Gutiérrez Müller ha riferito di essere stata accolta con ostilità e di essere stata respinta sgarbatamente.
Sfide interpretative e istituzionali
Il rimpatrio tende a comportare sfide interpretative, soprattutto quando le informazioni sugli oggetti restituiti sono scarne. «Per quanto ogni restituzione sia preziosa, afferma Del Olmo, alcune opere mancano di un contesto ed è difficile collocarle culturalmente e storicamente». Nel caso delle asce oggetto del recente rimpatrio dal Canada, un'analisi comparativa ha aiutato i ricercatori a ipotizzare che potessero essere olmeche, ma sulla provenienza dei manufatti non è disponibile alcun dato. E se i musei messicani hanno già in esposizione oggetti simili, i manufatti rimpatriati potrebbero finire chiusi in magazzino.
Lo stesso Inah deve affrontare delle sfide per ricevere gli oggetti rimpatriati. L’istituto amministra più di 50mila siti, di cui quasi 200 aperti al pubblico, e più di due milioni di oggetti archeologici, un numero che con l’aumento dei rimpatri è in continua crescita. L’Inah ha affrontato anche una serie di altre sfide, tra cui le proteste del personale per la sua leadership, le controversie relative al progetto del Treno Maya (che secondo alcuni ha messo in pericolo i siti del patrimonio lungo il suo percorso) e i tagli al bilancio. «C’è ancora molto da fare in termini di catalogazione adeguata, studio dettagliato e conservazione del patrimonio culturale esistente, rileva Sumano. A questo si aggiunga la localizzazione delle reti criminali di traffico e l'aggiornamento del quadro giuridico del patrimonio».
Il rimpatrio di opere d'arte in Messico, come visto, rivela dunque una realtà complessa: un Paese con un ricco patrimonio archeologico che, oltre a favorire il rimpatrio attraverso i canali diplomatici, ha bisogno di guardare all’interno delle proprie istituzioni culturali. «Al di là del “perché rimpatriare?”, chiosa Sumano, dovremmo chiederci “per che cosa?”».