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Pauline Baker, Daisy Whitner, John Williams e Priscilla Williams Carolina, discendenti dell’artista David Drake, al Museum of Fine Arts di Boston, con una delle opere dell’artista, «Jar» (1857)

Opera d’arte: Eticamente preso in prestito dal Dave the Potter Legacy Trust LLC, istituito a beneficio dei discendenti dell’artista. Photo: © Museum of Fine Arts, Boston

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Pauline Baker, Daisy Whitner, John Williams e Priscilla Williams Carolina, discendenti dell’artista David Drake, al Museum of Fine Arts di Boston, con una delle opere dell’artista, «Jar» (1857)

Opera d’arte: Eticamente preso in prestito dal Dave the Potter Legacy Trust LLC, istituito a beneficio dei discendenti dell’artista. Photo: © Museum of Fine Arts, Boston

Il Mfa di Boston restituisce agli eredi di David Drake alcune opere ceramiche

È la prima volta che un museo statunitense applica criteri di restituzione etica a opere prodotte in condizioni di schiavitù

Alessia De Michelis

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Con una decisione destinata a fare scuola, il Museum of Fine Arts di Boston ha restituito ai discendenti del ceramista afroamericano David Drake (1800 ca-70), nato schiavo nella Carolina del Sud, due vasi realizzati nel 1857. L’accordo, modellato sulle restituzioni di opere trafugate durante l’Olocausto, riconosce formalmente che Drake fu privato delle proprie creazioni «involontariamente e senza compenso». È la prima volta che un museo statunitense applica criteri di restituzione etica a opere prodotte in condizioni di schiavitù. L’avvocato che rappresenta i discendenti di Drake, George Fatheree ritiene che il loro accordo «sia rivoluzionario nel mondo dell'arte. L’applicazione dei principi di restituzione etica alle opere d'arte create da schiavi americani è, a mia conoscenza, una novità assoluta».

Uno dei due vasi, il celebre «Poem Jar», rimarrà in prestito al museo per due anni, mentre l’altro è stato riacquistato dal museo, accompagnato da un certificato di «proprietà etica». Per Ethan Lasser, presidente della sezione Arte americana del Mfa, l’operazione rappresenta un’estensione naturale del lavoro svolto sulle restituzioni di opere saccheggiate dai nazisti: un passo verso l’applicazione di principi comuni di giustizia a tutte le collezioni.

Drake, noto anche come «Dave the Potter», fu tra i pochi artigiani afroamericani a firmare e decorare i propri manufatti con brevi versi incisi sull’argilla, un gesto di libertà proibito dalle leggi dell’epoca. L’iscrizione del «Poem Jar», acquistato dal museo nel 1997, recita «Ho fatto questo vaso = per soldi / Anche se si chiama Lucre trash» e allude al paradosso del suo lavoro forzato. Un altro vaso del 1857, conservato al Greenville County Museum of Art, reca invece la frase: «Mi chiedo dove siano tutti i miei parenti», eco della sua separazione familiare.

La restituzione, promossa dall’avvocato degli eredi e dal David Drake Legacy Trust, riunisce oggi quindici discendenti dell’artista. Per uno di loro, l’autore e produttore di libri per bambini Yaba Baker, «questo gesto chiude un cerchio e onora un’eredità di resilienza».

Un precedente che invita le istituzioni museali americane a riconsiderare non solo la proprietà, ma anche la giustizia storica insita nelle loro collezioni. «Il nostro approccio è stato quello della collaborazione e dell’invito. Non siamo andati al museo per intentare una causa o minacciare di citarli in giudizio, ha dichiarato Fatheree. Ma la nostra speranza e, francamente, la nostra aspettativa è che altre istituzioni seguano l’esempio del museo di Boston».
 

Alessia De Michelis, 30 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

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