Maschera femminile da spalla Nimba della Guinea, Africa

© Musée du Quai Branly - Jacques Chirac, foto: Claude Germain

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Maschera femminile da spalla Nimba della Guinea, Africa

© Musée du Quai Branly - Jacques Chirac, foto: Claude Germain

Il Musée du Quai Branly indaga il confine tra oggetto e opera d’arte

Negli spazi della galleria Marc Ladreit de Lacharrière è allestita una mostra che, partendo dall’esempio delle riviste degli anni Trenta, riduce le distanze tra antichità e avanguardia

Una mostra che abbatte le barriere e riduce le distanze tra antichità e avanguardia, alla stregua delle riviste fiorite nella Francia degli anni Trenta del ’900, come «Minotaure» (1933-39) e «Cahiers d’art» (1926-65), che ebbero tra i loro illustri collaboratori Pablo Picasso, André Breton, Joan Miró, Brassaï, o ancora Georges Bataille, insieme ad archeologi, galleristi e conservatori di musei. È su queste basi che è nata a Parigi la mostra del Musée du Quai Branly, dall’11 febbraio al 22 giugno accolta negli spazi della galleria Marc Ladreit de Lacharrière, dal titolo «Oggetti in questione. Archeologia, etnologia e avanguardia». È curata a più mani da Alexandre Farnoux, docente di archeologia e storia dell’arte greca alla Sorbona di Parigi, insieme a Polina Kosmadaki, conservatrice al dipartimento dei Dipinti al Museo Benaki di Atene. Che cosa è un oggetto d’arte? Come presentarlo? «L’approccio scientifico» di queste riviste, osservano i curatori,«dà vita a una nuova percezione degli oggetti, dei luoghi, delle epoche. Interrogano il concetto stesso di musei». 

Il percorso, in quattro sezioni tematiche, è introdotto dalla scultura di Alberto Giacometti «Oggetto invisibile» (1934-35), una figura femminile enigmatica, seduta in equilibrio instabile su un supporto rettangolare, «un’opera che illustra il carattere ambiguo dell’oggetto, al contempo percettibile e sfuggente». Il nome dell’opera fu scelto da Breton perché evocava «l’oscuro oggetto del desiderio», caro ai Surrealisti. Il museo espone preziosi oggetti d’arte, tra cui una delicata statuetta femminile cicladica della varietà Spedos (2700-2300 a.C.), prestata dal Louvre, intorno alla quale ruota la prima sezione della mostra, «Terreni». Il museo allestisce anche una maestosa maschera femminile da spalla Nimba della Guinea, simbolo di femminilità e fertilità, attinta dalle proprie collezioni, e che Breton riprodusse in un articolo del 1926 per «Cahiers d’art» sul tema dell’«Archeologismo». L’oggetto è al centro della sezione «Scavi», dedicata alla ricerca archeologia che, metaforicamente, permette di «risalire il tempo». 

La mostra affronta anche il concetto di «doppio museo», affermatosi alla Conferenza internazionale di Museografia di Madrid nel 1934, che fu fondamentale per le riflessioni sull’allestimento dei musei in Europa e negli Stati Uniti. Secondo questo principio esistono due modi di esporre le opere d’arte: l’una spettacolare per il pubblico e l’altra più pragmatica per gli addetti ai lavori. «L’espressione “doppio museo”, spiega il Musée du Quai Branly, genera divisioni e costruisce un modello teorico di pensiero che oppone l’opera d’arte al documento, l’unicum alla serie, ma anche il bello e il brutto, il nobile e lo spregevole. Si pone la domanda: che cosa rende un oggetto un’opera d’arte?».

Alberto Giacometti, «Oggetto invisibile», 1934-35. © Succession Alberto Giacometti / Adagp, Paris 2024

Luana De Micco, 24 gennaio 2025 | © Riproduzione riservata

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