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Paolo Veronese, «La disputa dei dottori nel Tempio», 1560 ca, Madrid, Museo del Prado (particolare)

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Paolo Veronese, «La disputa dei dottori nel Tempio», 1560 ca, Madrid, Museo del Prado (particolare)

Il Prado è Veronese

Il museo madrileno chiude il ciclo espositivo sulla pittura veneta con la più completa mostra dedicata a «un artista superlativo, che non ha mai perso la velocità, la facilità e la maestria che l’hanno caratterizzato per tutta la vita» 

«La pittura veneziana del Rinascimento è una delle pietre miliari delle Collezioni Reali, che a loro volta hanno dato origine al Prado. Per questo è così importante questa mostra, che rivendica un museo di pittori e le nostre collezioni, così ricche, che permettono allestimenti e dialoghi impossibili in altre istituzioni. Il Prado ha una personalità propria». Lo afferma Miguel Falomir, direttore del Museo del Prado e curatore, insieme a Enrico Maria dal Pozzolo dell’Università di Verona, della mostra «Paolo Veronese (1528-1588)», allestita nel museo madrileno dal 27 maggio al 21 settembre

Dopo «I Bassano nella Spagna del Secolo d’Oro» (2001), «Tiziano» (2003), «Tintoretto» (2007) e «Lorenzo Lotto. Ritratti» (2018), anche questa curata dal tandem Falomir-Dal Pozzolo, Veronese chiude un ciclo molto importante sulla pittura veneta del Museo del Prado, con uno degli artisti chiave del museo (rappresentato da 21 dipinti), che ebbe una grande influenza in Spagna, dove era molto apprezzato da nobili e amanti dell’arte. La rassegna, che comprende 104 opere di cui 89 di Veronese, è il risultato di anni di studi, ricerche e restauri, anche se le opere del Prado sono note per l’ottimo stato di conservazione e il museo vanta la collezione di maestri antichi meglio conservata al mondo. Abbiamo intervistato Falomir.

Quali sono i temi centrali della mostra?
La mostra si concentra su tre temi principali: il processo creativo di Veronese e la gestione della sua bottega, la sua straordinaria abilità come capo bottega, che superò perfino altri grandi maestri del tempo come Tiziano o Tintoretto, e la sua capacità di rappresentare le aspirazioni dell’élite veneziana, riflesse nel suo stile cosmopolita che conquistò le corti europee. Possedere molte opere di un artista, di Tiziano ne abbiamo una cinquantina, consente studi comparativi rivelatori e permette di proporre ipotesi e conclusioni molto più concrete. Non si è mai fatta una mostra così completa e sarà importante anche per valutare la portata del contributo di Veronese.

In che cosa si differenzia questa mostra dalle altre dedicate a maestri italiani?
Con l’evolversi della storiografia è stato sempre più chiaro che gli artisti non sono isole, ma fanno parte di un contesto, di una comunità e rispecchiano le dinamiche del loro tempo. Per questo motivo, quando si ha la fortuna di possedere una collezione vasta come quella del Prado, è possibile ampliare lo sguardo ad altri artisti, stabilendo differenze e relazioni affascinanti. È il caso de «La disputa dei dottori nel Tempio» che viene esposta in dialogo con «La lavanda dei piedi» di Tintoretto o dei ritratti di Daniele Barbaro realizzati da Tiziano e da Veronese. Curiosamente, quello di Tiziano, che rientra in quelli che l’artista denominava «ritratti di amici», è molto sobrio e intimo, mentre quello di Veronese, in prestito dal Rijksmuseum di Amsterdam, lo raffigura in pompa magna con le vesti ecclesiastiche da patriarca. Barbaro, personaggio fondamentale della vita culturale veneziana, commissionò a Veronese, tra le altre, le opere per la villa che gli costruì Andrea Palladio, nota con il nome di Villa Maser dal nome della località in cui si trova. Inoltre, le collezioni del Prado permettono di studiare l’influenza di Veronese sulla generazione successiva di artisti quali El Greco, i Carracci o Rubens, così come di analizzare l’importanza del Parmigianino nella sua formazione.

Paolo Veronese, «Pala Bevilacqua Lazise», 1548, Madrid, Museo del Prado

A proposito di «La disputa dei dottori nel Tempio», per la mostra il dipinto è stato restaurato e «rimpicciolito»...
Il criterio principale che si adottava nell’allestimento delle Collezioni Reali o nell’arredamento dei palazzi dell’epoca non era la paternità o l’iconografia, ma la simmetria, per cui non era raro che la dimensione di un dipinto venisse modificata. Fortunatamente nella maggior parte dei casi si ampliavano le opere aggiungendo un fregio architettonico che si può eliminare senza problemi, com’è successo a questo dipinto, nella cui parte superiore era stato aggiunto un bordo di 10 centimetri che è stato rimosso riportandolo alle sue misure originali. Accadeva più raramente, ma talvolta l’opera poteva essere ridotta, come nel caso del Carlo V di Tiziano, a cui furono tagliate le gambe per collocarlo accanto ai ritratti a mezzo busto nella galleria del Palazzo del Pardo. Molti anni dopo le gambe furono ritrovate nei depositi. Un’altra opera straordinaria restaurata per la mostra è «Mosè salvato dalle acque».

Quali sono i punti forti della rassegna?
Oltre al gran numero di capolavori ad olio, sicuramente i molti disegni, che ci permettono di apprezzare il processo creativo di Veronese in tutte le sue fasi: dai primi schizzi al bozzetto vero e proprio, al disegno finale, per finire con la pittura ad olio su carta che, pur essendo un’opera di presentazione, raggiungeva un’eccellenza straordinaria. È il caso della «Pala Bevilacqua», della quale possediamo i tre passaggi precedenti: il primo schizzo, il disegno preparatorio e il bozzetto ad olio. L’importanza che Veronese conferisce al disegno e il suo rigoroso controllo dei dettagli gli consente di mantenere un livello di qualità altissimo. La sua bottega era, se non la più grande, di sicuro la più efficiente del Rinascimento, mentre le opere prodotte nelle botteghe di Tiziano o Tintoretto sono molto più irregolari. Un altro aspetto molto importante è l’analisi della concezione dello spazio e della forma che Veronese dimostra nel realizzare la composizione, che si allontana dalle altre correnti dell’epoca, rispondendo all’idea architettonica di Palladio nelle cui ville lavorò spesso. Veronese crea uno sfondo architettonico e colloca i personaggi in primo piano come in un fregio, mentre l’usanza abituale prevede un punto di fuga più elevato con lo scenario dei personaggi che si sviluppa verso l’interno.

Molte tele di Veronese sono enormi…
L’umidità del clima veneziano obbligava a utilizzare l’affresco solo per le facciate concepite per essere effimere, mentre negli interni non dava buoni risultati, pertanto anche per le grandi superfici si doveva impiegare l’olio su tela. Veronese utilizza l’affresco in alcune delle ville di Palladio sulla terraferma. 

Qual è la sua opinione su Veronese?
Era un artista superlativo, con un enorme talento fin dalla giovinezza, per questo le sue opere mantengono lo stesso livello per decenni, praticamente fino ai cinquant’anni. Per lo stesso motivo i suoi dipinti non hanno mai generato problemi di attribuzione, ma piuttosto di cronologia. Veronese non datava mai le opere ed è complicato farlo a posteriori. Solo negli ultimi dieci anni di vita (muore a sessant’anni), la sua tavolozza si scurisce, ma non perde mai la velocità, la facilità e la maestria che l’hanno caratterizzato per tutta la vita. 

Paolo Veronese, «Mosé salvato dalle acque», 1580, Madrid, Museo del Prado

Roberta Bosco, 22 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

Il Prado è Veronese | Roberta Bosco

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