Dopo la presentazione a Palazzo Reale di Milano, conclusasi con oltre 270mila visitatori, dall’11 febbraio al 2 giugno «Munch. Il grido interiore» porta a Palazzo Bonaparte cento opere del pittore norvegese, provenienti dal Munchmuseet di Oslo.
Organizzata da Arthemisia, e curata da Patricia G. Berman, la mostra presenta, per esemplari, l’intero tragitto di Edvard Munch (1863-1944) nelle possibilità date da campiture ampie e piatte di colore, espanse in linee e grandi curve deformanti, con cui tradurre su tela le grandi emozioni della vita. Sua specialità fu proprio il «grido interiore», in immagini allucinate di umanità sgomenta o paesaggi che fluttuano in grandi onde. Lui stesso definì la sua vita «sempre sull’orlo di un precipizio». Così la sua pittura, che però fu per lui curativa e calmante.
Più volte ricoverato in cliniche psichiatriche, alcolista, e un fato che lo costrinse a lutti gravi fin dall’infanzia, ebbe rapporti conflittuali con le donne che amò, ma soprattutto con sé stesso. Momenti di pace ebbe però a Roma, come indagato dalla mostra. La Cappella Sistina è per lui «la stanza più bella al mondo». E il Cimitero acattolico un luogo dove dilettarsi a ritrarre la tomba di un suo avo, e sintonizzarsi con emozioni non più solo tragiche.