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«Le melon entamé» (1760) di Jean-Baptiste-Siméon Chardin, stimato tra 8 e 12 milioni di euro

Cortesia di Christie’s

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«Le melon entamé» (1760) di Jean-Baptiste-Siméon Chardin, stimato tra 8 e 12 milioni di euro

Cortesia di Christie’s

Il melone di Chardin è servito

All’asta da Christie’s a Parigi l'opera del pittore francese è stata battuta alla clamorosa cifra di 26,7 milioni di euro 

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Elena Correggia

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L’estate dell’arte si scalda subito, grazie alla frutta fresca. Era nell’aria che potesse segnare un ottimo risultato, ma «Le Melon entamé», la natura morta del pittore francese Jean Siméon Chardin, ha decisamente superato le aspettative raggiungendo quota 26,7 milioni di euro e polverizzando la stima iniziale di 8- 12 milioni. Ad avere la meglio nella contesa che ha avuto luogo da Christie’s, a Parigi il 12 giugno, un misterioso collezionista europeo. In un momento globale non certo euforico l’armoniosa e sensuale tela ha risvegliato gli animi e fatto incetta di record. Oltre a rappresentare l’opera più costosa di Chardin mai passata in asta, diventa così il lavoro più caro aggiudicato in Francia quest’anno e il dipinto antico del Settecento più costoso venduto a livello mondiale. Un indicatore del fatto che, anche in momenti di estrema prudenza, quando passa all’incanto un capolavoro indiscusso il mercato non si fa sfuggire l’occasione di coglierlo. Chardin era balzato agli onori delle cronache già un paio di anni fa quando un altro suo quadro a tema frutticolo, «Panier de fraises», era stato battuto da Artcurial per 24,3 milioni di euro con il conseguente esercizio della prelazione da parte del Museo del Louvre, subentrato all’acquirente dopo aver parzialmente reperito i fondi per l’operazione da una campagna di crowdfunding in grado di raccogliere oltre 1,6 milioni da piccoli donatori individuali. Va però detto che, quando si tratta di dipinti antichi e storicizzati, il venire alla luce di opere di livello museale è sovente più frutto del caso che di precise strategie commerciali, a differenza di quello che accade nel campo del contemporaneo. Forse passeranno anni prima che compaiano nuovamente due Chardin, di questo livello e a distanza ravvicinata, sul mercato. Il «Melone» parigino presenta infatti caratteristiche raramente ripetibili. In primo luogo si tratta di un’opera riconosciuta tra le più significative della poetica dell’autore nella sua ricerca dell’espressione naturalistica attraverso oggetti inanimati in un equilibrio perfetto di luce, colore e forma. 

Lo riconobbe Pierre Rosenberg nel suo catalogo monografico del 1979, annoverando il quadro in questione tra i migliori e più elevati esiti della pittura di Chardin. In seconda battuta, il dipinto presenta un «pedigree» ineccepibile, con una storia chiara e documentata fino all’ultimo proprietario che lo ha affidato alla casa d’aste britannica. Realizzato nel 1760, comparve al Salon del 1761, dove fu esposto accanto a «Le bocal d’abricots» ora all’Art Gallery of Ontario di Toronto e al già citato «Panier de fraises». Passò poi attraverso due collezioni eccezionali, ovvero quella di François e del figlio Camille Marcille (che nell’Ottocento arrivarono a possedere trenta lavori dell’artista) e quella dei baroni Rothschild (in particolare della baronessa Charlotte de Rothschild che lo acquistò dopo la morte di Camille Marcille e poi fino a oggi dei suoi discendenti). Infine, grazie al lavoro preliminare di Christie’s, l’opera è già accompagnata da un attestato di libera circolazione, cosa che la rende appetibile non solo agli appassionati francesi ma ai connoisseurs di tutto il mondo. La stessa forma ovale dell’olio su tela, raramente usata da Chardin, è di per sé un motivo di interesse, unito alle dimensioni generose che lo rendono un autentico pezzo da museo, tra i pochissimi dell’artista ancora in mani private.

Elena Correggia, 10 giugno 2024 | © Riproduzione riservata

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Il melone di Chardin è servito | Elena Correggia

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