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«I bari» (1594) di Caravaggio conservato al Kimbell Art Museum di Fort Worth (Usa)

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«I bari» (1594) di Caravaggio conservato al Kimbell Art Museum di Fort Worth (Usa)

Il mercato dell'arte fa i conti con una crisi imprevedibile

Possiamo ipotizzare una flessione del 20% delle aste nel 2020, ma speriamo fortemente di sbagliarci

Bruno Muheim

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3D nel mondo del mercato dell’arte americano non indica solamente il mondo tridimensionale, ma anche una versione moderna dei quattro cavalieri dell’Apocalisse. Death, divorce e debts sono la base del mercato, e se mancano l’anno è buio.

Come hanno giustamente osservato gli analisti del mercato dell’arte, la mancanza di un’eredità cospicua o di un divorzio sanguinoso ha appiattito il giro d’affari delle case d’asta nel 2019.

I risultati di Christie’s nel 2018 sono stati certamente migliori grazie agli 835 milioni di dollari dell’asta Peggy e David Rockefeller. Christie’s ha una certa abilità a non farsi scappare il morto. Già nel 2009 i 443 milioni dell’asta Saint Laurent-Bergé avevano fatto la differenza.

L’asta di Jacqueline de Ribes tenutasi lo scorso anno da Sotheby’s è stato un caso rarissimo di una persona in vita, vedova, ma non divorziata e sempre ricchissima che decide di vendere la propria collezione. La grande forza dei procacciatori d’affari delle case d’asta è di saper dimostrare al momento giusto un gesto d’affetto e di compassione, ma nel contempo con nonchalance e garbo far scivolare il contratto di vendita prefirmato già in mano e porgere una penna alla vittima scelta da loro e da un destino implacabile...

Peter Wilson, il mitico presidente di Sotheby’s, era un genio impareggiabile in materia. Il meglio che può capitare è di essere stato nominato nel testamento. Il barone Alexis de Redé aveva deciso che Laure de Beauvau Craon, presidente di Sotheby’s France, dovesse organizzare l’asta delle sue collezioni.

Sfortunatamente la realtà è molto più volgare e degna delle più memorabili serate di Netflix. «Dynasty», «House of Cards», «The Sopranos», e ogni tanto un pizzico di «Downton Abbey», sono gli ingredienti base di qualsiasi grande asta. I cari eredi e le mogli abbandonate non sono gli ultimi in fatto di tradimento e mancanza di parola.

La palma rimane agli eredi di Alfred Taubman, proprietario di Sotheby’s, che trattarono a oltranza con Christie’s per poi finire di vendere da Sotheby’s. L’esito sarebbe stato per Sotheby’s uno dei maggiori disastri dell’azienda: i risultati dell’asta, tenutasi nel novembre del 2015, non coprirono gli anticipi pagati agli eredi, i quali, essendo anche azionisti di Sotheby’s, avrebbero finito per pagare anche il prezzo della loro cupidigia...

L’inizio del 2020 prometteva bene per Christie’s e Sotheby’s. Il più acrimonioso divorzio di tutti i tempi stava per finire con la decisione del giudice che ordinava a Harry e Linda Macklowe di vendere all’asta la loro collezione stimata circa 700 milioni di dollari.

Inoltre in questi ultimi mesi si erano verificati tre decessi eccellenti, Donald Marron, Ginny Williams e Hester Diamond: tre collezionisti con grandi mezzi e un gusto impeccabile. Sfortunatamente qualcosa di storto ha cambiato subito le carte. Gli eredi di Marron hanno affidato la loro collezione a un tris di galleristi: Gagosian, Acquavella e Glimcher. Si parla di una trattativa sui 450 milioni di dollari.

Per proseguire con la metafora delle carte da gioco, le case d’asta erano sicure di sé avendo in mano le 3D, che potremmo chiamare le donne di cuori, quadri e fiori, ma avevamo dimenticato la temibilissima quarta donna, quella di picche, il Covid-19. Certo dopo il suo passaggio saremo morti, rovinati e/o divorziati per gli effetti collaterali del confinamento, ma questa volta il mercato dell’arte sarà capace di riprendersi e di sfruttare l’effetto 3D?

Il 2019 è stato un anno molto difficile per il mercato dell’arte con una flessione generale del 5%. Il 2020 sarà molto peggio; anzitutto nessuna asta di una collezione importante era annunciata all’inizio dell’anno, malgrado le grandi aspettative menzionate sopra.

È evidente che nessun trustee incaricato di vendere una collezione prenderà la decisione di farlo adesso. Anche nel caso che un’asta fosse stata concordata e un contratto firmato, tutto finirebbe in carta straccia. Le grandi aste si dividono in due cicli annuali, maggio-giugno e ottobre-novembre.

Tutte le aste primaverili importanti sono state spostate all’autunno, ma siamo sicuri che i venditori siano ancora propensi a vendere e non piuttosto ad aspettare almeno il 2021 e, come si dice, saltare una stagione o peggio ancora tenersi i propri beni rifugio?

I management delle due grandi case d’asta hanno già anticipato tempi bui e chiesto al proprio staff un congelamento dello stipendio, che sarà restituito nel caso di un ritorno a tempi migliori. Alcuni sostengono che Sotheby’s affronterà meglio questo periodo grazie al suo vantaggio sulle vendite online e menzionano gli ultimi eccellenti risultati in questo campo. Vorrei crederci, ma mi sembra molto esagerato.

I successi cui si fa riferimento riguardano risultati assai modesti, aste con risultati globali sui 3 milioni. Non immagino un quadro da 100 milioni venduto online senza la possibilità di vederlo prima dal vero. I mercanti dovrebbero affrontare molto meglio questo brutto momento in quanto è molto più facile mandare in visione un certo quadro a un preciso collezionista che ottenere l’autorizzazione e convincere migliaia di amatori a visionare un’asta completa in un luogo pubblico.

Per tutte queste ragioni possiamo ipotizzare una flessione del 20% delle aste nel 2020, ma speriamo fortemente di sbagliarci: sarebbe molto meglio per tutti, piuttosto di fare la fine di Cassandra.
 

Bruno Muheim, 21 maggio 2020 | © Riproduzione riservata

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