Bruno Muheim
Leggi i suoi articoliSabato 23 marzo su «Le Monde» balzavano agli occhi due articoli, entrambi senza alcuna relazione esplicita con il mercato dell’arte, nei quali i fatti descritti potrebbero però avere conseguenze notevoli sul mondo delle aste. Il primo era intitolato «La battuta d’arresto di Kering ovvero il problema Gucci» e raccontava le difficoltà di Gucci, nave ammiraglia del gruppo Kering, le cui vendite sono calate del 20% nel primo trimestre 2024, mentre nello stesso periodo la concorrente Hermès è cresciuta del 16,6%. Il secondo articolo era molto più lungo e dettagliato e recava un titolo fortemente drammatico: «A fronte della sua montagna di debiti, Drahi ingaggia un confronto muscolare con i suoi creditori».
Drahi è un finanziere spericolato indebitato per più di 24 miliardi di euro. Il suo asset più importante è il marchio di telefonia francese Sfr, che va malissimo e perde centinaia di migliaia di abbonati ogni trimestre. Riconoscendo che la sua situazione è finanziariamente insostenibile, Drahi ha chiesto ai creditori una moratoria del 30% dei suoi debiti, come proporrebbe uno Stato in fallimento al Fondo Monetario Internazionale. Il problema è che i creditori di Drahi sono gli hedge fund più accaniti, i quali immediatamente hanno fatto fronte comune e incaricato di occuparsi della questione il più celebre studio di avvocati americano specializzato nella ristrutturazione dei debiti. In poche parole: questa volta Drahi avrà grande difficoltà a rialzarsi.
Questi due fatti interessano molto da vicino il mondo dell’arte. Perché? Perché Kering, la holding della famiglia Pinault, è anche la proprietaria di Christie’s e perché Drahi è il proprietario di Sotheby’s. Va ricordato che le due case d’asta sono in vendita da anni, ma che finora non hanno trovato acquirenti ai prezzi richiesti. Oggi l’operazione appare ancora più difficile da realizzare se si considera che nel 2023 la somma delle aste di Sotheby’s, Christie’s e Phillips ha perso il 23% rispetto al fatturato totale del 2022. Diciamo subito che le tre celebri case d’asta possono farcela a superare questa scivolata, ma a condizione che non alimentino a loro volta i debiti dei loro proprietari e soprattutto che non vengano chiamate a servire loro stesse da cauzione nella ristrutturazione di quei debiti.
Di certo non è questo il caso di Christie’s. Il gruppo Kering infatti è solido. I due pilastri del gruppo sono la moda e il mercato dell’arte, entrambi chiamati ad affrontare profondi cambiamenti. Sono finiti gli anni spensierati quando collezionisti e «modaioli» (lasciatemi chiamare così gli operatori della moda) spendevano principalmente con lo scopo di apparire ai vertici del lusso. Tuttavia, mentre una serie non piccola di artisti sono scomparsi con la stessa velocità con la quale erano apparsi sul mercato in questi ultimi anni, in parallelo una serie di brand di moda sono ora in grave difficoltà, non avendo un’immagine concreta soddisfacente da offrire al pubblico. Anche Kering deve fare i conti con questi nuovi parametri. La famiglia proprietaria Pinault è abbastanza abile per riuscirci egregiamente e inoltre sono noti per una certa empatia che li lega ai loro collaboratori.
Molto diversa è la situazione di Sotheby’s, il cui futuro sta tutto nelle mani dei creditori di Drahi. Pretenderanno la casa d’aste come bottino di guerra? Chi saprà gestirla? E come la gestirà? Oppure Drahi dovrà venderla al più presto per procurarsi la liquidità di cui è assetato? Tutti gli scenari sono possibili. Inutile dire che nelle case d’asta questo è, per tutte e per tutti, l’argomento dell’anno.
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