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Una veduta della mostra «Matter matters. Disegnare con il mondo» al Museu del Disseny di Barcellona

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Una veduta della mostra «Matter matters. Disegnare con il mondo» al Museu del Disseny di Barcellona

Il nuovo (e controverso) allestimento del Museo del Design di Barcellona

A dieci anni dall’inaugurazione del Dhub, Museu del Disseny, un nuovo display propone un discorso globale, incentrato sulla materia, sull’emergenza climatica e sul declino del modello colonialista. Le polemiche infuriano e il direttore si dimette

Roberta Bosco

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A due anni e mezzo dalla sua nomina, l’architetto e studioso José Luis de Vicente (Granada, 1973) si dimette dalla direzione del Museu del Disseny (Museo del Design-Dhub) di Barcellona, per «affrontare nuove sfide professionali». Proprio mentre infuria la polemica causata dalla presentazione della prima parte del nuovo allestimento delle collezioni permanenti. 

Inaugurato nel 2014 con una spesa di 100 milioni di euro, il gigantesco Dhub (Disseny Hub) ha riunito in un unico spazio le collezioni storiche del Museo delle Arti Decorative, del Museo della Ceramica, del Museo del Tessuto e dell’Abbigliamento e del Gabinetto delle Arti Grafiche. A De Vicente era stato affidato l’incarico di rinnovarlo e aggiornarlo e con la presentazione della prima e più consistente parte del suo nuovo progetto espositivo, dedicata alla materia e ai manufatti, non si può certo dire che non l’abbia fatto.

«Matter matters. Disegnare con il mondo», a cura dell’architetta e curatrice Olga Subirós, ha però sollevato un’ondata di critiche. Il cambiamento è radicale: da un allestimento didattico di taglio ottocentesco, che raccontava la storia delle arti decorative a partire dal collezionismo catalano e dalle sue caratteristiche peculiari, si è passati a un discorso globale, incentrato sulla materia, sull’emergenza climatica e sul declino del modello colonialista che ha prevalso negli ultimi 500 anni. Il risultato è un’accumulazione di 700 oggetti senza distinzione di epoche o genere, praticamente in un’unica sala: da una piccola brocca del XII secolo a una proposta di illuminazione pubblica dell’artista Samira Benini che funziona grazie a un batterio che produce elettricità durante la decontaminazione del terreno.

L’impatto visivo è notevole, ma la comprensione dell’arrischiata proposta concettuale non è certo immediata. La curatrice mette in scena il presente e la sua complessità con l’abilità che le viene da una lunga carriera, ma capire come siamo arrivati a questo presente risulta più arduo rispetto al precedente ordinamento. Il filo conduttore del nuovo allestimento è la materia: così, invece di spiegare l’evoluzione del mobile si parla del legname importato e delle drammatiche conseguenze della deforestazione, mentre l’evoluzione del gusto solleva il dilemma etico dei materiali tratti da animali e usati nella moda, alcuni ormai illegali come l’avorio. La ceramica è tra i prodotti meglio rappresenti, con un’enorme parete dove attraverso 200 pezzi è possibile seguirne l’evoluzione dal Medioevo a oggi, con un’interessante riflessione sui modelli sviluppati dal Modernismo come «dispositivi climatici».

Aggiornare significa però rinunciare al patrimonio? Sicuramente non la pensa cosi il Victoria & Albert Museum di Londra che quando si è modernizzato ha aumentato considerevolmente i pezzi storici. Il nuovo allestimento del Dhub ha mandato tre quarti delle opere nei depositi e ha puntato sul design contemporaneo, come richiesto a gran voce dalla comunità di professionisti locali. Al posto delle opere storiche, Subirós ha commissionato 40 opere d’arte contemporanea ora entrate a far parte della collezione del museo. Tra queste spicca un prestito della Fondazione Prada, «Calculating Empires: una genealogia della tecnologia e del potere, 1500-2025» di Kate Crawford e Vladan Joler, un’opera pluripremiata che esplora l’evoluzione delle strutture tecniche e sociali nel corso di cinque secoli. Il grande murale ripercorre i modelli tecnologici del colonialismo, della militarizzazione e dell’automazione a partire dal XVI secolo per mostrare come gli imperi del passato hanno creato le condizioni per quelli attuali.

Tra le novità invece apprezzate da tutti spicca l’apertura, mai avvenuta fino ad ora, delle grandi finestre che aprono il museo alla città, offrendo una vista mozzafiato. La prossima sezione destinata a essere riallestita è quella della moda, erede di un altro museo storico, il Museo del Tessuto e dell’Abbigliamento. Per il momento però non c’è data né curatore.

José Luis de Vicente ha abbandonato la nave in piena tempesta ed è andato alla Biennale di Architettura di Venezia con la sua compagna Eva Franch, che firma il progetto del Padiglione della Catalogna. Insieme, come collettivo Fast, sono stati invitati dal curatore Carlo Ratti a partecipare alla mostra centrale con una proposta audiovisiva. Inoltre José Luis de Vicente cura con Francesca Bria il simposio «Archipelago Futures» organizzato dalla New European Bauhaus nell’Ocean Space di Tba21. 

Una veduta della mostra «Matter matters. Disegnare con il mondo» al Museu del Disseny di Barcellona

Una veduta della mostra «Matter matters. Disegnare con il mondo» al Museu del Disseny di Barcellona

Roberta Bosco, 14 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

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