Dal primo giugno al 15 settembre la Fondation Henri Cartier-Bresson presenta «Stephen Shore. Vehicular & Vernacular». La mostra, a cura di Clément Chéroux, direttore della fondazione, è un viaggio lungo tutta la produzione del maestro della fotografia americana, con uno specifico focus che mette in dialogo due caratteristiche essenziali della sua poetica: l’utilizzo di veicoli e mezzi di trasporto, come auto, treni, aerei e, nella sua produzione recente, anche droni, in una costante prospettiva in movimento; il conferimento a questo suo «fotografare veicolato» della scoperta di un paesaggio americano vernacolare, ma anche anticonvenzionale, congiungendo insieme le sue icone, i suoi cliché, i suoi segni topici, ma contemporaneamente anche la sua cultura di massa e la banalità del quotidiano.
La mostra si compone dei due classici della produzione anni ’70-80 di Shore (New York, 1947), «Uncommon Places» (1973-86) e «American Surfaces» (1972-73), ma anche dei lavori degli esordi come «Los Angeles» (1969) con cui l’autore, già interessato alla resa concettuale del linguaggio fotografico e del paesaggio americano, coglie, in un inusuale bianco e nero, la città degli angeli (chiamata anche emblematicamente «la capitale mondiale dell’automobile»), il suo scenario urbano costellato di insegne, persone e autoveicoli. Sono frammenti quelli colti da Shore, tasselli di americanità, immagini che si rendono concetto, cucite insieme da uno stile che, nel 1969, aveva messo già le basi per diventare quello che poi sarebbe diventato in seguito, un modello da cui attingere. Proseguendo cronologicamente con l’allestimento si incontrano anche quei lavori che maggiormente hanno influito a rendere manifesta la vernacolarità anticonformista del lavoro di Shore, come «Greetings from Amarillo» (1971). In questo caso il fotografo americano si è servito della Mail art come meta linguaggio per raccontare l’identità americana nella sua valenza di «cultura di massa», includendo fotografie di luoghi non propriamente «da cartolina», strade di Amarillo, bar, chiese, hotel, un profondo senso di anonimato che fa riflettere sulla rappresentabilità americana e sulla sua cultura dell’immagine.
A comparire nel corpus di questa estesa indagine espositiva sul lavoro di Shore anche una parte della famosa esposizione «Signs of Life: Symbols in the American City», a cui partecipò anche il fotografo nel 1976. Una mostra, ospitata dalla Renwick Gallery del Smithsonian American Art Museum, che risultò rivoluzionaria per il modo di rappresentare segni e simboli dell’allora società contemporanea americana. Completa il percorso uno dei suoi ultimi progetti, «Topographies: Aerial Surveys of the American Landscape» (2020-21), realizzato con l’utilizzo di un drone, veicolo, come lo sono state le automobili e gli altri mezzi di trasporto, con cui Shore ha definito un nuovo paradigma di paesaggio americano.