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Loredana Longo, «We are cannibals», 2005

Courtesy Francesco Pantaleone Arte Contemporanea. Foto Fausto Brigantino

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Loredana Longo, «We are cannibals», 2005

Courtesy Francesco Pantaleone Arte Contemporanea. Foto Fausto Brigantino

Il pasto collettivo di Loredana Longo

Le opere presenti alla personale nella galleria palermitana di Francesco Pantaleone coniugano straordinaria intensità estetica e valore concettuale

Fino al 30 aprile, nella galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea, la personale di Loredana Longo (Catania 1967) «We are cannibals», curata da Gabi Scardi, porta le inquietudini del nostro tempo nel cuore pulsante della città. Ai Quattro Canti, l’androne di Palazzo Di Napoli su Via Vittorio Emanuele, spalanca la vista su «Medusa», la prima delle opere in mostra, quella a cui è affidato il compito di «parlare» ai passanti e di sfidarli, a sua volta, con il suo «sguardo pietrificante». Una creatura mitica, Medusa, risultante da una contaminazione di umano e animale, i cui tentacoli serpentini costituiti qui da colli di bottiglia riciclati e impilati si allungano sul basolato. Attraenti e minacciosi, lucidi e acuminati, i colli di bottiglia frantumati richiamano immagini di un umano in lotta, di una perenne guerriglia urbana, ma anche della sua capacità di plasmare la materia. Al piano superiore, «Consumption» riporta in un grafico alla freddezza dei dati: il consumo di risorse naturali nell’ultimo secolo, per mano umana.

Loredana Longo, «Trilogia di una caduta», 2025. Courtesy Francesco Pantaleone Arte Contemporanea. Foto Fausto Brigantino

Ed è proprio la materia, quella che affascina l’artista, che la esplora da anni, con curiosità e trasporto, a partire dal corpo, il proprio. La mostra, algida ed elegante, è tutta giocata sulla sottrazione, di colore innanzitutto, per lasciare emergere, senza distrazioni, il bagliore del metallo, la cupezza del piombo, la trasparenza adamantina del vetro. Unica nota cromatica, l’incarnato dell’artista, per autoritratti in pelle, in cui l’umano-cannibale del titolo della mostra, divora sé stesso attraverso bocche dai denti metallici. Impossibile non riflettere davanti all’installazione centrale «The Clan of Human Eaters», con le figure incappucciate che ricordano il Ku Klux Clan, alla cecità dei Signori della guerra. Ecco cosa dice l’artista a «Il Giornale dell’Arte»: «Il cappuccio copre gli occhi, è finito il tempo di guardare, un’apertura sulla bocca incorniciata da denti, una bocca spalancata per divorare indistintamente qualunque cosa. Sembrano degli spaventapasseri, delle figure da collocare per incutere timore, non guardano, mordono». Il riscatto dell’umano sta allora nella sua capacità di ricostruire per bilanciare la distruzione: «Mangiare lo stesso piatto», l’installazione con i piatti di ceramica morsi dall’artista e dagli stessi lavoratori della fabbrica, è un monito che ricorda, nelle forme, la suadenza di certi oggetti surrealisti. Con la ceramica sottratta dai morsi viene creato un monile. A proposito del suo approccio con i materiali Longo ci dice «Non ho mai modellato l’argilla, l’ho presa a pugni, a calci, l’ho fatta esplodere. Per “mangiare lo stesso piatto” l’ho morsa, insieme ad altre persone, un pasto collettivo». E su quale sia il ruolo dell’artista oggi, risponde: «Se ognuno facesse davvero quello che sa fare, e s’impegnasse a farlo bene, sarebbe la giusta restituzione a questo mondo dal quale abbiamo preso tutti tutto e a mani basse. Io so fare questo e non so quanto bene, ma mi mette in pace/guerra col mondo». Un solido legame quello che lega l’artista siciliana alla galleria di Francesco Pantaleone, entusiasta di quest’ultima mostra: «un potente dialogo tra memoria e trasformazione. Con il suo linguaggio incisivo, Loredana Longo riesce a sovvertire la materia e il significato, restituendo opere di straordinaria intensità estetica e concettuale».

Giusi Diana, 21 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

Il pasto collettivo di Loredana Longo | Giusi Diana

Il pasto collettivo di Loredana Longo | Giusi Diana