Arianna Antoniutti
Leggi i suoi articoliL’Istituto Centrale per il Restauro (Icr) di Roma ha alle spalle una storia antica e nobilissima, un presente fatto di ricerca, formazione e attività continua (ma anche di oggettive difficoltà gestionali), e uno sguardo rivolto a nuovi progetti e sperimentazioni per il futuro. Ne parliamo con Luigi Oliva (Taranto, 1972) che lo dirige da maggio di quest’anno.
Quali sono le azioni di rinnovamento che ha messo in atto?
L’Istituto è indiscussa bandiera dell’eccellenza italiana del restauro e, per evidenziarne il ruolo trainante, tra le prime innovazioni che ho reputato necessario introdurre c’è stata la costituzione di un rinnovato ufficio di comunicazione, al fine di diffondere e valorizzare tutte le nostre attività. È in corso la redazione di un dettagliato piano di comunicazione e lo sviluppo di un nuovo sito istituzionale, finalizzato al dialogo non solo con gli specialisti, ma anche con il più vasto pubblico interessato ai temi del restauro e del patrimonio culturale. Abbiamo inoltre attivato, per la prima volta, profili social che si sono rivelati utili strumenti di confronto e di feedback con un’utenza allargata. L’obiettivo di tutto questo è portare alla luce il nostro operato, sfondando quella barriera di chiusura che vedeva coinvolti i soli esperti competenti. È importante diffondere la consapevolezza che, dietro l’opera d’arte, c’è quasi sempre un’altra opera d’arte che è il restauro. Altro punto al quale stiamo lavorando è rifondare il Bollettino dell’Icr che lascerà il formato cartaceo per diventare pubblicazione scientifica digitale e open access, con la prospettiva di ottenere l’accreditamento in classe A. L’idea è di trasformarlo in una sorta di osservatorio, aprendolo anche a contributi esterni, nella logica di un dibattito critico sul restauro e sul suo sviluppo in ambito nazionale e internazionale. La dimensione open access lo renderà immediatamente accessibile in tutto il mondo, venendo incontro a un’altra dimensione molto importante per lo sviluppo dell’Istituto, quella della relazione con l’estero. Molti Paesi, sempre più spesso, ci chiedono collaborazioni, partnership e consulenze scientifiche e, ancora, il nostro contributo alla creazione di scuole di restauro improntate al modello della Scuola di Alta Formazione Icr. È un settore che stiamo potenziando d’intesa con i direttori generali e lo staff del ministro. Al momento il Bollettino è in arretrato di due anni e il motivo va ricercato nei problemi gestionali. Come è ben noto, una delle difficoltà croniche della Pubblica amministrazione è la carenza di personale. Attualmente l’Istituto si attesta intorno al 50% della pianta organica, questo vuol dire che c’è carenza sia di risorse umane sia di trasferimento di competenze. Alcuni dei nostri laboratori, in particolare quelli scientifici, non vedono integrato il proprio organico da quasi un quarto di secolo. Su questo tema contiamo di sensibilizzare il Ministero della Cultura affinché al più presto siano indette procedure di reclutamento di nuovo personale. L’Icr è noto per la sua attività di diagnostica, nei nostri laboratori abbiamo bisogno di fisici, chimici, geologi e biologi, professionalità marginali in un Ministero come quello della Cultura, ma fondamentali all’interno di istituti come l’Icr, l’Opificio delle Pietre Dure o l’Istituto Centrale per la Patologia degli Archivi e del Libro.
Su quali altri fronti siete attivi?
A breve ci doteremo di uno statuto, passaggio necessario al fine di accreditarci quale ente di ricerca nell’ambito del Ministero dell’Università. Tale accreditamento ci consentirà un rapporto paritario con altri istituti di ricerca, consentendoci di sviluppare una delle missioni fondamentali dell’Icr. Altro tema importante è ritrovare la relazione con il mondo della produzione e dell’industria. C’è una ricerca sui materiali, sulle tecniche e sugli strumenti del restauro che dev’essere messa in sinergia con il tessuto operativo e produttivo, nella prospettiva di creare collaborazioni con le associazioni di imprese del mondo del restauro, anche sviluppando brevetti. Senza dimenticare la sostenibilità, il restauro sta sempre più andando nella direzione dei temi ambientali, puntando all’utilizzo di materiali il più possibile ecocompatibili. Infine, in ambito organizzativo, è importante estendere il più possibile la multidisciplinarità. Costituire gruppi di lavoro che comprendono tutte le discipline sulla falsariga del pensiero brandiano è indispensabile, perché il restauro è sempre frutto di un concorso di competenze.
Ci può aggiornare sul check up dei Bronzi di Riace? Il programma di verifiche dello stato di conservazione delle sculture è terminato?
La campagna diagnostica è stata completata sul piano di indagini in situ e adesso seguirà una fase di sviluppo dei dati raccolti, sia dalle analisi chimiche e fisiche sia dal monitoraggio. L’intento principale non è un vero e proprio intervento di restauro (l’ultimo risale a dieci anni fa), quanto piuttosto andare a monitorare gli sviluppi delle attività chimico-fisiche presenti sulla superficie dei Bronzi, in correlazione con l’ambiente. In base alle risultanze si adotteranno le migliori soluzioni per consentire la visita in sicurezza. Lo stato di salute delle opere, facendo riferimento alla diagnostica, è complessivamente buono, anche se, volendo fare un parallelo con la salute degli esseri umani, non esiste diagnostica del tutto esaustiva. I metalli, per definizione, sono uno stato transitorio che reagisce con il contesto, per cui non si può parlare di una stabilità assoluta. Sarà importante valutare, soprattutto in termini temporali, l’incidenza dei processi che sono stati riscontrati per comprendere se si tratta di attività importanti o se, al contrario, rientrano nell’ordinaria reattività del metallo. Per realizzare questo programma di verifiche, condiviso fra Icr e Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, abbiamo collaborato con il Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale, Gruppo di ricerca Metal, dell’Università di Genova. Si è trattato di una proficua collaborazione, ma anche di una misura di necessità perché al momento non abbiamo più chimici attivi nel nostro laboratorio di chimica. Auspicando che in un futuro prossimo il pressante problema della carenza di personale venga risolto, nel frattempo potenzieremo le collaborazioni con altri enti e Università.
Avete concluso il cantiere di studio e di restauro della Scuola di Alta Formazione dell’Icr sui dipinti di studio che Giulio Aristide Sartorio realizzò per la decorazione musiva della Cattedrale di Messina (1930-32). Qual è l’importanza dei cantieri didattici Saf?
Pur avendo finalità didattiche, si tratta, a tutti gli effetti, di cantieri pilota di altissima specializzazione in cui vengono testati interventi innovativi nei quali, per ogni gruppo di cinque studenti già formati sul piano teorico, è assicurata la presenza di un docente qualificato. Nello specifico, il cantiere sui dipinti di studio di Sartorio, nato dalla collaborazione con l’Arcidiocesi di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela e con la Soprintendenza di Messina, ha visto l’Icr al lavoro su alcuni dipinti su tela selezionati tra i 36 che compongono il ciclo di Sartorio destinato alla controfacciata della Cattedrale, ciclo vincolato dal 2020. Le opere, custodite nel Seminario Arcivescovile, sono state messe in sicurezza e sottoposte a rilievi e indagini non invasive, anche con il supporto dell’Università di Catania. Le fasi successive riguarderanno il restauro di un dipinto del ciclo come tema di tesi Saf e un cantiere pilota su un altro dipinto per definire un progetto di intervento sull’intero corpus di opere. Abbiamo chiuso la presentazione di queste attività, lo scorso 3 ottobre, con l’auspicio di proseguire la collaborazione tra Icr, Diocesi ed enti regionali di tutela e valorizzazione, per arrivare al recupero integrale di quest’opera miliare per la cultura artistica italiana e messinese degli anni Trenta.
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