Barbara Antonetto
Leggi i suoi articoli«Dentro ogni elemento c’è un pezzo di me»: questo è quanto Anna Rosa Nicola, restauratrice di professione, infonde nella sua passione privata, il presepe, cui dedica ogni momento libero, anche solo i dieci minuti residui della pausa pranzo. «Mi piace lavorare la domenica mattina presto quando tutti dormono e io mi chiudo tranquilla nel mio regno». Si potrebbe supporre che quel regno sia all’interno del laboratorio di restauro di Aramengo (Asti) dove Anna Rosa, con il resto della famiglia, porta avanti l’attività del padre, un grande laboratorio (3.500 metri quadrati, apparecchiature scientifiche all’avanguardia, un archivio di oltre sessant’anni di attività e, non ultima, una nutrita équipe di tecnici, storici dell’arte, architetti e restauratori), che ha condotto importanti interventi per Soprintendenze e privati, dall’«Assunzione della Vergine» di Alvise Vivarini della Pinacoteca di Brera alla grande pala di Tiziano con «Il martirio di san Lorenzo» della Chiesa dei Gesuiti a Venezia, dagli affreschi trecenteschi dell’Abbazia di Chiaravalle milanese ai medaglioni lignei raffiguranti i ritratti della dinastia Savoia nella Palazzina di caccia di Stupinigi, al Trittico di Casorati nella Parrocchia di San Paolo a Biella, solo per fare qualche esempio.
E invece il presepe prende forma in una stanza di casa, «una stanza tutta mia sul cui tavolo di lavoro lascio una gran confusione, ma dove conservo anche in perfetto ordine oggetti di ogni tipo suddivisi per tipologia: gli scampoli di passamaneria, i velluti, i bottoni, le lampadine, la bigiotteria ecc. Le persone che conoscono la mia passione mi portano scatole di oggetti che per loro non hanno un significato perché sanno che io, nel momento in cui li vedo, mi prefiguro immediatamente come li riutilizzerò. Mio marito ieri mi ha dato lo starter di un neon i cui pezzi rivivranno in diverse forme: una boccetta di vetro, i pomelli di un comò...». Alla domanda se per realizzare il suo presepe si serva degli strumenti di uso quotidiano in laboratorio, Anna Rosa risponde che anche gli attrezzi appartengono soltanto a quella privatissima stanza delle meraviglie: «Come restauratrice sono specializzata in reintegrazione pittorica, mentre per il presepe uso seghetto, trapano a colonna, lo strumento per tagliare il polistirolo e altri attrezzi che mi faccio regalare anziché chiedere profumi o borsette firmate».
Il bagaglio professionale è comunque fondamentale, soprattutto per la straordinaria manualità che Anna Rosa ha ereditato dalla mamma, restauratrice specializzata in carta e tessuti capace di dividere nello spessore un foglio di carta velina, ma anche per la conoscenza dei materiali che la guida a scegliere i supporti, i colori e i collanti più adatti. Anna Rosa è restauratrice dal 1975 e rappresenta la terza generazione di una straordinaria famiglia di restauratori il cui capostipite, il nonno materno Giovanni Borri, era antiquario, pittore e restauratore con negozio nella Galleria Subalpina di Torino. Fu lui a trasferirsi tra le colline del Monferrato durante la seconda guerra mondiale su consiglio della moglie, che al tempo della grande guerra era sfollata in quei luoghi ancora oggi incredibilmente tranquilli e paesaggisticamente intatti. Lì la mamma di Anna Rosa, Maria Rosa, ha conosciuto il papà Guido, ultimo di sette figli di una famiglia di modeste condizioni che abitava di fronte al laboratorio. Guido faceva il barbiere e suonava il violino, una manualità che indirizzò presto, e con grandi risultati, al restauro con l’aiuto del suocero: Guido e Maria Rosa si sono sposati all’età rispettivamente di 25 e 16 anni.
Anche il marito di Anna Rosa, Nicola detto Nick, è restauratore, specializzato in pulitura e analisi strumentali non distruttive: si sono conosciuti sui banchi del liceo artistico a Torino. E naturalmente anche il fratello di Anna Rosa, Gian Luigi, ha seguito le orme dei genitori, dedicandosi ai reperti archeologici, in particolare egizi. Per non parlare dei loro figli, la quarta generazione, e dei lori rispettivi compagni di vita. Ad Aramengo sono state curate opere di Cranach, Caravaggio, Reni, Van Eyck, Antonello da Messina, Max Ernst, Paul Klee, solo per citare qualche nome, e da Aramengo sono partiti specialisti per restaurare in loco opere inamovibili in Italia e all’estero.
Questa però è un’altra storia, una storia in cui tradizione e innovazione si fondono, raccontata, per chi volesse approfondire, nel volume I Nicola. Storie di restauri nella storia di una famiglia, a cura di Armando Brignolo e Salvatore Giannella (Umberto Allemandi, 2009). Torniamo invece al presepe, un’opera imponente che cresce ogni anno alla quale Anna Rosa lavora dal 2005: «Ho iniziato per caso perché mi avevano chiesto di organizzare un’attività di animazione per l’oratorio parrocchiale di Aramengo. Non ho più smesso, ho poi montato il presepe in laboratorio per raccogliere fondi per le opere d’arte danneggiate dal terremoto del 2009 in Abruzzo, in linea con la missione del Premio Rotondi di cui siamo stati insigniti nel 2002».
A partire dal 2012 il presepe è stato allestito nella suggestiva cornice dell’Abbazia di Vezzolano, in provincia di Asti, e i proventi dell’esposizione sono stati destinati alla conservazione del complesso monastico romanico. Continua Anna Rosa: «Il primo anno in cui ho montato il presepe a Vezzolano i topi se ne sono mangiati una gran parte per cui ho smesso di usare bacche e altri elementi organici che raccoglievo nei boschi e ho iniziato a ricorrere alla tecnica della ceroplastica, con cui realizzo anche delle nature morte di frutta, verdura e funghi che, insieme ai fiori di carta, sono un’altra delle mie passioni». Il presepe negli anni ha raggiunto le dimensioni di 18x4 metri (circa 120 scene e 350 personaggi) e all’ultima esposizione è stato visitato da 11.190 persone in due mesi.
Quest’anno verrà esposto a Vezzolano per l’ultima volta. Spiega la restauratrice: «Poiché a ogni smontaggio, rimontaggio e trasporto andavano inevitabilmente perdute delle parti, ho istituito la Fondazione Ara (Anna Rosa Arte) con cui spero di raccogliere i 450mila euro necessari al restauro di un edificio seicentesco di fronte al laboratorio dove ho in progetto di esporre tutte le mie opere: il presepe, le nature morte in ceroplastica e i fiori di carta. Chiamarlo museo è riduttivo e mi sa di vecchio, voglio che sia un luogo dove si sta insieme e si impara a lavorare con le mani. Nei primi tempi il mio presepe veniva apprezzato soprattutto dagli anziani, ma ora sono tantissimi i bambini che si lasciano affascinare a dispetto del fatto che li crediamo attratti unicamente dalla tecnologia».
Per ogni scena Anna Rosa si documenta e opera un’accurata ricostruzione di una bottega storica per cui il suo presepe rappresenta una memoria visiva di tradizioni e antichi mestieri: «Quest’anno, aggiungo il carretto del venditore di ghiaccio. La più grande soddisfazione per me è vedere le nonne che, davanti a scene come quella del materassaio intento a cardare la lana, spiegano ai nipotini professioni scomparse». Il presepe era già una tradizione della famiglia Nicola prima del 2005? «No, risponde Anna Rosa, ma recentemente mi è affiorato un ricordo che avevo rimosso. Alle scuole medie durante l’ora di applicazione tecniche odiavo tutte le attività previste per le ragazze: cucire, ricamare, lavorare all’uncinetto. Il professore allora mi disse di scegliere un’attività alternativa e io realizzai casette di cartone per il presepe».
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