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Federico Castelli Gattinara
Leggi i suoi articoliUn anno fa Ovidio Jacorossi inaugurava a Roma in via dei Chiavari, proprio di fronte alla prima rivendita di carbone del nonno Agostino, lo spazio polifunzionale living (&) arts Musia, con un’esposizione delle raccolte d’arte del noto imprenditore romano: una vasta e celebre «collezione d’impresa», come lui stesso l’ha definita, proposta in tre tappe che ripercorrono l’intero Novecento italiano, a cura di Enrico Crispolti, in collaborazione con Giulia Tulino.
Se nel 2017 si era partiti dal Simbolismo e dal Divisionismo di fine Ottocento per scandagliare tutta la prima metà del secolo, dal 4 ottobre al 12 gennaio è la volta di «Colore, Immagine, Segno, Oggetto, Comportamento» (catalogo De Luca Editori d’Arte), una trentina di opere di secondo Novecento, a partire dal secondo dopoguerra: dai più vecchi Guttuso e Cagli, i fratelli Afro e Mirko Basaldella, Nino Franchina, e sopra tutti Lucio Fontana, sino ai più giovani «formalisti e marxisti» Turcato, Dorazio e Sanfilippo, il maestro del vetro Egidio Costantini e il maestro del cemento armato Giuseppe Uncini.
Non mancano Cy Twombly che dal 1957 si trasferisce a Roma, la Scuola di Piazza del Popolo di Schifano, Fioroni, Angeli e Festa, l’effervescente esplosione di creatività degli anni Sessanta di Tacchi, Pascali e Ceroli, i «milanesi» di «Azimuth», Castellani e Bonalumi, alcune originali figure femminili quali Nedda Guidi e Titina Maselli, e poi ancora Emilio Prini, Gino De Dominicis, il fotografo grande amico di tutti gli artisti e intellettuali Claudio Abate, Joseph Kosuth (nella foto, «Modus Operandi», 1988), la pittura «citazionista» di Franco Piruca, gli anni Ottanta di Paladino, l’ultima scuola romana di Gianni Dessì e Marco Tirelli.
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«Modus Operandi» (1988) di Joseph Kosuth, Roma, Collezione Jacorossi
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