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Raphaël Barontini, «Black Minerva», 2022

© Fabrice Gousset

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Raphaël Barontini, «Black Minerva», 2022

© Fabrice Gousset

Il vestirsi come gesto artistico: ritratti e autoritratti al Louvre-Lens

I costumi orientali di Rembrandt, i foulard di Élisabeth Vigée-Le Brun, la «marinière» di Picasso, le camicette huipil di Frida Kahlo, i pois di Yayoi Kusama sono esempi di come si diventa un’icona popolare anche per gli abiti che si indossano

L’abito non fa l’artista? E se la risposta fosse «sì»? «Alcuni artisti, spiega Olivier Gabet, direttore del Dipartimento degli oggetti d’arte al Louvre, sono diventati, a sorpresa, delle icone, ispirando le tendenze popolari e le stesse case di moda. Al di là delle proprie creazioni e dell’approccio artistico, vengono spesso riconosciuti dal pubblico, talvolta senza nemmeno averlo voluto, anche per l’originalità del loro stile di abbigliamento. Nella sfera pubblica il vestito è tra le prime cose che notiamo in qualcuno. Siamo quello che indossiamo?». 

Per Olivier Gabet, che per il museo parigino ha già curato «Louvre Couture» (fino al 21 luglio), mostra che sta incontrando un grande successo di pubblico e di critica, è ora la volta di «Vestirsi come un artista. L’artista e il suo vestito», presentata dal 26 marzo al 21 luglio al Louvre-Lens. Nel proseguire l’esplorazione degli stretti legami che uniscono arte e moda, questa volta il Louvre, allestendo circa 200 opere, mette a nudo l’autoritratto come rappresentazione di sé e di affermazione della propria identità, «un genere che ci parla tanto di un’epoca, di un’intenzione artistica e della concezione del ruolo dell’artista nella società», aggiunge Gabet. 

Rembrandt, «Autoportrait au chevalet», 1660, Parigi, Musée du Louvre. © GrandPalaisRmn (Musée du Louvre) - Hervé Lewandowski

Ovviamente, nulla è lasciato al caso. Rembrandt (1606-69) fu il pittore dai «mille costumi», primo «performer» della storia dell’arte, che si rappresentò decine di volte, tanto col turbante bianco che in abiti eleganti, ornati di colli di pelliccia, come nell’«Autoritratto con tocco e catena d’oro» (1633) delle collezioni del Louvre. Élisabeth Vigée-Le Brun (1755-1842), la ritrattista di Maria Antonietta a Versailles, si dipinse con indosso ampi foulard bianchi. Nel 1834, la scrittrice George Sand (1804-76) si fece ritrarre da Eugène Delacroix in abiti maschili e capelli corti. Frida Kalho (1907-54) personalizzò la sua immagine reinterpretando o indossando gli abiti colorati della tradizione messicana (come le camicette huipil), ispirando dopo di lei designer e stilisti. È quasi impossibile pensare a Pablo Picasso (1881-1973) senza la marinière, la classica maglia a righe bianche e blu, diventata un’icona della moda francese, mentre, in una serie di celebri polaroid, Andy Warhol (1928-87) si mostrò nelle vesti di Drag Queen. Il percorso si chiude su alcune figure dell’arte contemporanea che, come le effervescenti Niki de Saint Phalle (1930-2002) e Yayoi Kusama (nata nel 1929), «hanno fatto dei vestiti indossati quotidianamente l’estensione stessa del proprio lavoro» o che, come la surrealista Claude Cahun (1894-1954) e Marcel Bascoulard (1913-78), artista clochard, «hanno trasformato il travestimento in gesto artistico, spiega ancora Gabet. Ognuno dei nostri abiti s’inscrive di fatto in una storia intima, così come in una storia collettiva, economica, sociale e multiculturale. Le apparenze, anche ingannevoli, o ancora di più quando sono ingannevoli, sono significative. Gli abiti indossati, scelti, acquistati, scovati o creati dagli artisti stessi hanno valore di manifesto umano e artistico».

Andy Warhol, «Self-Portraits in drag», 1980-82, Parigi, Fondation Louis Vuitton. © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. - Licensed by Adagp, Paris 2025

Luana De Micco, 24 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

Il vestirsi come gesto artistico: ritratti e autoritratti al Louvre-Lens | Luana De Micco

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