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Una veduta del cubo nero a Firenze

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Una veduta del cubo nero a Firenze

Italia al terzultimo posto in Europa per la spesa in cultura a fronte di un patrimonio da 1.100 miliardi

Il re seminudo • Serve una politica che salvi il settore pubblico: solo una vera presa di coscienza e posizione può invertire questa disastrosa rotta seguita con il pilota automatico

Alberto Salvadori

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Alla luce delle recenti vicende, come il crollo della Torre dei Conti a Roma o il cubo nero a Firenze, alcuni punti fermi sull’intera infrastruttura pubblica dedicata al patrimonio culturale andrebbero messi una volta per tutte, dopo decenni di tentata dismissione del pensiero e della capacità progettuale e professionale della stessa. La delegittimazione del settore pubblico a favore del privato danneggia molti a favore di pochi. Non solo economicamente, ma soprattutto dal punto di vista della fiducia che tiene assieme le garanzie per scelte volte a favore della collettività. Il processo di trasformazione e sfiducia dell’intero ambito è iniziato in Italia almeno 35 anni fa, scardinando la possibilità di uno sviluppo consapevole del pubblico a beneficio dell’intera comunità. 

Leggendo una recente intervista dello scrittore inglese Jonathan Coe, l’esordio nel suo Paese di tale processo è da ascrivere al 2 maggio 1979, anno nel quale la Thatcher andò al governo: da allora, dice, ci siamo trasformati in una Nazione di individui incentivati dal profitto piuttosto che in una società basata su un senso condiviso di interdipendenza. Da quel momento il morbo si è diffuso ovunque. Da decenni sentiamo dire che il privato è la soluzione per tutto: non è vero. Un sano e costruttivo rapporto tra le parti è sì un beneficio, mentre la completa delega ad altri non genera che speculazioni e modalità di sviluppo per introiti a senso unico. Pensando ai musei, come non citare la manutenzione, la gestione delle biglietterie, i vari servizi, dall’accoglienza, alla guardiania, fino a quelli educativi? Facile dimostrare come questa modalità non abbia generato benefici, bensì un impoverimento di pensiero, di ricerca, di capacità progettuale, di controllo sulla sicurezza e sugli emolumenti di chi lavora all’interno di strutture pubbliche date in gestione a soggetti terzi. 

La centralità delle Soprintendenze e la loro, fino a una certa data, capillare ed effettiva presenza e operatività, fungeva da garanzia e controllo; come le qualifiche necessarie per la carriera interna e la distanza che i politici tenevano dai funzionari. C’è da aggiungere che siamo al terzultimo posto in Europa per la spesa in cultura rispetto agli altri Paesi europei. Abbiamo un patrimonio culturale da 1.100 miliardi di valore complessivo (secondo i dati della Ragioneria dello Stato, Ndr) messo prevalentemente a regime per generare economie a favore di un settore estrattivo come il turismo di massa, o di altissima fascia economica, che spesso fornisce a qualsiasi politico, privo di idee, dati che vengono utilizzati per incrementare la propria comunicazione e manifestare un successo economico non effettivo per la sua comunità di riferimento. La politica ha il dovere di salvaguardare la polis; il famoso cubo nero, ad esempio, di cui si è parlato recentemente, altro non è che la conseguenza di persone mediocri, garantite dai partiti di riferimento e collocate nelle cabine di regia per lo sviluppo e il progredire di intere città. Solo una vera presa di coscienza e posizione da parte della politica, ammesso che ancora esista quella vera, può invertire questa disastrosa rotta seguita con il pilota automatico. Più che mai ora abbiamo bisogno di vera politica, dato che andremo incontro a un futuro dove ben altre forme di intelligenza avranno un ruolo determinante nella vita di tutti.

Alberto Salvadori, 19 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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