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David Landau
Leggi i suoi articoliNel nuovo blocco di mail rese pubbliche alla Camera statunitense emergono, tra le vicende che coinvolgono Jeffrey Epstein, anche inaspettati riferimenti al mondo dell’arte. L’ex finanziere, al centro di una vasta rete di relazioni politiche e mediatiche, discute infatti con il giornalista Michael Wolff di uno dei dipinti più controversi dell’ultimo decennio: il Salvator Mundi, l’opera attribuita a Leonardo da Vinci divenuta la più costosa mai venduta all’asta - venduto da Christie’s nel 2017 per 450,3 milioni di dollari. In una email datata 30 maggio 2019, Epstein fa riferimento al Salvator Mundi, un’opera che, da quando è riemersa nel mercato internazionale, è rimasta avvolta da dubbi, retroscena e conflitti tra esperti sull’effettiva mano di Leonardo. E secondo Epstein, anche la sua qualità sarebbe discutibile: “Il mio art guy dice che il dipinto non è molto buono”, scrive in risposta a Wolff, lasciando intuire di avere un consulente personale nel settore.
Il passaggio più significativo riguarda però la cifra di vendita del Salvator Mundi. Epstein collega la transazione al miliardario russo Dmitry Rybolovlev – già protagonista di una lunga battaglia legale con Sotheby’s e il mercante Yves Bouvier – e all’acquirente saudita, il principe Bader bin Abdullah bin Mohammed bin Farhan al-Saud, considerato un intermediario per conto del principe ereditario Mohammed bin Salman (MBS). Nelle email, Epstein insinua un collegamento politico tra la vendita dell’opera e altri interessi internazionali, citando perfino la decisione del presidente Donald Trump di scavalcare il Congresso sul dossier Yemen. I passaggi sono frammentari e non contestualizzati, anche a causa del modo in cui i documenti sono stati resi pubblici, ma rivelano un tentativo di Epstein di costruire narrazioni geopolitiche attorno al mercato dell’arte. Il dipinto, da anni, è scomparso dalla scena pubblica. Nessuna esposizione, nessuna apparizione, nessuna conferma ufficiale da parte saudita. Il suo destino è diventato quasi un mito contemporaneo, alimentato da documentari, inchieste giornalistiche e controversie tra storici dell’arte. Le email di Epstein non chiariscono nulla. Ma aggiungono un nuovo tassello alla dimensione politica e finanziaria che circonda l’opera: un simbolo dei rapporti di forza, delle transazioni transnazionali e dei circuiti di influenza che segnano il mercato artistico contemporaneo.
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