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Dettaglio dell’opera di Julie Mehretu, «This Manifestation of Historical Restlessness», 2022

Copyright The Artist e galleria Berggruen

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Dettaglio dell’opera di Julie Mehretu, «This Manifestation of Historical Restlessness», 2022

Copyright The Artist e galleria Berggruen

Jenny Gibbs: vi racconto la mia IFPDA Print Fair

Il direttore esecutivo della più grande fiera d’arte dedicata alle stampe che si svolge in primavera a New York rivela a «Il Giornale dell’Arte» i retroscena della rassegna e la sua incredibile gamma storica esposta, da Rembrandt ad artisti contemporanei come Rashid Johnson

Maurita Cardone

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Dal 27 al 30 marzo, l’Armory di Park Avenue, a New York, ha accolto la fiera di stampe d’arte dell'International Fine Print Dealers Association (IFPDA). Fondata nel 1987, l’IFPDA è la principale organizzazione internazionale che riunisce gallerie ed editori specializzati in stampe. L’IFPDA Print Fair, che si tiene ogni anno a New York, è la più grande fiera d'arte dedicata al medium artistico della stampa. Quest’anno, l’evento ha attratto 21mila visitatori, duemila in più rispetto all’anno scorso. Abbiamo incontrato il direttore esecutivo Jenny Gibbs, per farci raccontare l’edizione appena conclusa e i progetti per il futuro. Prima di prendere la direzione dell'IFPDA, nel 2019, Gibbs ha diretto il programma di laurea in studi artistici al Sotheby’s Institute e ha avuto ruoli direzionali in musei e università negli USA e in Francia.

In che modo dirigere una fiera d’arte, che è intrinsecamente commerciale, è diverso dai ruoli che ha ricoperto in precedenza?
Nel settore dell’arte ce la mettiamo tutta per evitare di essere esclusivamente "commerciali" nel nostro approccio e nella nostra mentalità. I ​​galleristi che espongono in fiera vogliono supportare gli artisti e preservare la storia dell’arte. A me piace pensare alla fiera come a una sorta di «museo di quattro giorni». Ad esempio, abbiamo incaricato Mickalene Thomas di creare un'installazione site specific, prodotta con il supporto della Jordan Schnitzer Family Foundation, puramente per l'esposizione, non per la vendita. Inoltre, il 100% dei proventi dei biglietti va a beneficio della Fondazione IFPDA, creando un circolo virtuoso che supporta i nostri programmi. Ciò attrae anche molti curatori e studiosi da tutto il mondo. E poi sì, certo, speriamo che facciano delle acquisizioni, ma non è il nostro unico obiettivo.

Cosa fa la Fondazione IFPDA?
La Fondazione è una non profit con una missione educativa. Finanziamo mostre, viaggi curatoriali, ricerche e borse di studio. Abbiamo anche un prestigioso premio e, cosa importante, finanziamo tirocini curatoriali. Siamo entusiasti di vedere ex studenti dei nostri tirocini ora rappresentare importanti musei. È una parte importante dell'ecosistema del mondo dell'arte.

 

Josef Albers, «Multiplex D», 1948. Courtesy Krakow Witkin Gallery

Come è stata l’atmosfera e l’energia generale della fiera quest’anno?
L’energia è stata fenomenale. La serata di apertura ha avuto quasi 5mila persone. Era gremita e c’era una folla eterogenea, con molti volti familiari, ma anche molti giovani e molta diversità. Gli espositori hanno riferito di aver venduto a nuovi collezionisti più giovani ed è stato bello vedere materiale classico trovare nuovi pubblici tra i collezionisti della Generazione Z e dei Millennial.

Cosa rende questa fiera particolarmente attraente per i più giovani?
C’è un trasferimento di ricchezza generazionale e sempre più giovani collezionisti stanno entrando nel mercato. Sono cresciuti con artisti come Miró, Chagall e Picasso e ora aspirano a possedere dei loro lavori. Ci interessa sottolineare come stampe e incisioni siano parte integrante della pratica di un artista e questo messaggio sta riuscendo a passare.

Qual è la composizione demo-anagrafica del pubblico della fiera?
È una gamma incredibile che include persone dai 20 ai 90 anni. Le foto della serata inaugurale mostrano questa varietà di persone, abiti e look. È emozionante vedere così tante persone diverse interessate alle stesse cose.

Il pubblico proviene principalmente dagli Stati Uniti o avete partecipanti internazionali?
Abbiamo un ampio contingente internazionale nella nostra lista VIP. La gente viaggia per la Print Week. Ironicamente, il COVID ha contribuito ad ampliare la nostra portata internazionale perché è stato allora che abbiamo iniziato a fare programmi online con partner come il Met, la National Gallery e il British Museum, che hanno attirato un pubblico globale.

Come si è evoluta la fiera nel tempo e che impatto ritiene abbia avuto la sua leadership?
Per esporre alla fiera devi essere un membro dell’associazione. Anni fa l'associazione ha ampliato i suoi criteri di adesione per includere gli editori. Questo è stato un cambiamento significativo. Ora vediamo più editori che portano nuovi lavori, consentendoci di mostrare un’incredibile gamma storica, da Rembrandt ad artisti contemporanei come Rashid Johnson, con opere appena uscite dallo studio. Abbiamo anche iniziato a fare installazioni site-specific. La prima è stata il murale di Swoon nel 2019 in collaborazione con il Metropolitan Museum of Art.

 

Edvard Munch, «Das Weib»,1899. Courtesy Jörg Maass Kunsthandel

Progetti per il futuro?
Abbiamo appena modificato il nostro statuti per includere i dealer che si occupano di disegni, il che è entusiasmante. I curatori sono entusiasti perché nella maggior parte dei musei stampe e disegni sono nello stesso dipartimento e i curatori spesso supervisionano entrambi. Ora avremo entrambe le cose in un’unica fiera, semplificando le acquisizioni. Aumenterà anche il numero di espositori che portano materiale premoderno. Stiamo anche mettendo insieme un programma incentrato sull'arte contemporanea,in collaborazione con il Drawing Center di New York. Si tratta di mostrare una visione più completa della pratica di un artista, poiché disegni e stampe sono stati intrecciati per secoli. Infine, l’anno prossimo l’IFPDA Print Fair tornerà al Park Avenue Armory con delle nuove date, dal 9 al 12 di aprile.

La fiera e l’associazione collaborano con importanti istituzioni culturali. Dato l’attuale clima negli Stati Uniti, c’è preoccupazione tra gli operatori culturali per la direzione della nuova amministrazione?
C’è sicuramente preoccupazione per l'impatto delle recenti decisioni. Tuttavia, curatori, istituzioni e l'IFPDA continueranno a fare il lavoro che stavano già facendo, indipendentemente dalle etichette specifiche. Ad esempio, mentre DEI [Diversity, Equity and Inclusion programs, nda] è ora un termine scomodo, le pratiche che ne sono alla base sono già in atto. Si stanno trovando modi per continuare a fare un lavoro di valore e guidato dai valori.

Anche le istituzioni private sono interessate da queste preoccupazioni?
Ogni museo degno di nota riceve finanziamenti pubblici, siano essi municipali, statali o federali. Anche le istituzioni private sono spesso organizzazioni 501(c), il che significa che sono pubbliche in un certo senso. La difficoltà di continuare senza certe sovvenzioni è seria. Ma questa non è la prima volta che lavoriamo in questo clima. Il pendolo oscilla e ci adatteremo.

Maurita Cardone, 08 aprile 2025 | © Riproduzione riservata

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