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Nella sua residenza al MoMA l’artista ci fa riflettere sulle forme di appartenenza antirazziste e apolidi in tempi e luoghi diversi
- Viviana Bucarelli
- 01 agosto 2025
- 00’minuti di lettura


Una veduta della mostra «Jonathan Berger: An Introduction to Nameless Love», Participant Inc, New York, 2020
© Jonathan Berger; image courtesy of the artist, and Luhring Augustine, New York. Photo: Mark Waldhauser
Jonathan Berger ricostruisce Kaunas prima dei nazisti
Nella sua residenza al MoMA l’artista ci fa riflettere sulle forme di appartenenza antirazziste e apolidi in tempi e luoghi diversi
- Viviana Bucarelli
- 01 agosto 2025
- 00’minuti di lettura
Viviana Bucarelli
Leggi i suoi articoliJonathan Berger (New York, 1980) guarda con profondo interesse alla storia passata e trova il suo modo originalissimo di estrarne contenuti importanti con un linguaggio di grande impatto e, a volte, di toccante poesia. Nel 2020 ha realizzato «Nameless Love», installazione ispirata da sei figure, tra cui il filosofo affetto da autismo, recentemente scomparso, Mark Utter, lo studioso di tartarughe Richard Ogust e Padre Arnold Hadd, uno degli ultimi Shaker tuttora viventi. Ad accomunare questi sei personaggi è la straordinaria passione che essi esprimono nei confronti del proprio lavoro e della propria «missione» in questa vita. Per quel progetto, Berger ha realizzato un’opera grazie alla quale lo spettatore si è potuto immergere nelle loro storie: un itinerario in cui i testi, che raccontavano le loro vite e la passione per le rispettive «cause», erano incisi su pareti di latta, creando un’installazione che prendeva la forma di un grande libro.
Ora, per la Studio Residency del MoMA 2025, Berger realizza nel corso di tre settimane, dal 2 al 24 agosto, un nuovo progetto che sarà poi visibile al pubblico e che riprende alcuni dei temi più cari all’artista, tra cui l’idea dell’archivio e dei tesori inestimabili che racchiude, la biografia e il concetto di comunità. Il progetto si basa, da una parte, sui racconti della madre, di famiglia ebrea, dell’artista, che da piccola, durante la Seconda guerra mondiale, fu nascosta da una famiglia cristiana nella città di Kaunas, in Lituania. Dall’altra, è ispirato alle idee che erano alla base dell’impegno di Berger adolescente con il gruppo Jews for Racial and Economic Justice (Jfrej), fondato da Melanie Kaye/Kantrowitz (1945-2018), attivista, scrittrice, poetessa e docente universitaria, la prima a istituire un corso di «Women Studies» all’Università di Berkeley in California. Jfrej combatteva ogni forma di razzismo, compreso l’antisemitismo e si occupava di giustizia economica. Ora Berger, con l’aiuto di alcuni collaboratori e basandosi sulla ricerca della cartografa amatoriale Marija Oniščik, ricostruisce un modello in scala della Kaunas del 1941, poco prima che venisse occupata dai nazisti. Completa l’installazione materiale d’archivio appartenente a Kaye/Kantrowitz e presentato in collaborazione con l’editor di Kaye/Kantrowitz, la giornalista Esther Kaplan, che parla di «diaspora radicale» in base alla teoria secondo la quale l’identità ebraica non sia legata alla terra d’origine.

Kaunas, Lithuania, circa 1940 (da una mappa inconclusa di Marija Oniščik, 2022)