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L'ex punk è diventata una signora

Charlotte Burns

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Michele Maccarone, nota in passato per le sue mostre coraggiose ma invendibili, apre uno spettacolare spazio a Los Angeles

Ex direttrice della galleria Luhring Augustine, Michele Maccarone si è fatta inizialmente un nome agli inizi degli anni Duemila quando aprì uno spazio progettuale punk in Canal Street nel Lower East Side di New York. I visitatori della mostra inaugurale di Christoph Büchel nel 2001 dovettero firmare uno scarico di responsabilità prima di gattonare attraverso un buco ricavato nel muro per accedere a diverse piccole sale, alcune delle quali erano alte solo un metro e venti.

Tra le altre mostre, «The New York Dirty Room» (2005) di Mike Bouchet, nella quale l’artista aveva disseminato il pavimento con circa 35 tonnellate di terriccio e concime. «Nessuno vorrebbe una cosa simile nel suo museo, figuriamoci a casa sua, e questo fa bene all’arte», scrisse il critico del «New York Times» Holland Cotter. La galleria rappresenta oggi oltre venti artisti tra i quali Carol Bove, Nate Lowman, David Lamelas e Ann Craven e le proprietà di Sarah Charlesworth. Tuttavia, la gallerista guarda ai suoi primi rischiosi anni come a una fase ormai conclusa: «Sarebbe davvero irresponsabile, dice,  insistere nel realizzare mostre invendibili e complicate dato che oggi sono responsabile di un gran numero di dipendenti e di artisti. Questa è una famiglia di cui devo prendermi cura».

Nel 2007 la Maccarone si trasferì da Canal Street in uno spazio più costoso e meno fatiscente nel West Village. Le spese aumentarono, come le pressioni del mercato. Rinunciò a uno spazio a Los Angeles avviato due anni prima con il mercante Christian Haye: «Quello che Christian e io facevamo era davvero divertente, ma divenne un po’ difficile. Quando iniziai la partnership ero ancora a Canal Street con spese molto contenute ma in seguito mi ingrandii. La galleria non si sosteneva da sola e mi stava strangolando».

La pressione raggiunse il massimo nel 2007 ad Art Basel Miami Beach, dove il suo ambizioso stand comprendeva una gigantesca installazione di Büchel, opere di Paul McCarthy e un pezzo di Bove che richiese un’impresa edile per gettare calcestruzzo: «Ero così angosciata... Il giorno dell’inaugurazione, ricordo che stavo distesa sul letto in coma a mangiare pretzel ricoperti di cioccolato e farciti di burro di arachidi, ricorda. Non lasciai la mia camera per tutta la durata della fiera. Fu un insuccesso totale».

La Maccarone entrò quindi in una seconda fase nella quale divenne «fisicamente più responsabile. Non credo che la gente sappia quanti soldi ci vogliano per fare quello che faccio. Pensano che io stia facendo soldi, ma ogni singolo centesimo serve per pagare ogni centimetro quadrato di quello che facciamo e i salari dei nostri dipendenti. È una cosa seria ed è costosa».

Nel 2012, la Maccarone aveva consolidato la sua azienda e ampliato il suo spazio in Greenwich Street: «La galleria è diventata molto meno trascurata e più sofisticata. Sto davvero cercando di creare un’atmosfera professionale qui». Ora la sua strategia è di «vivacizzare il programma con mostre che si sa non renderanno. Ma facciamo almeno due mostre all’anno che sappiamo genereranno vendite».

 

Sono la peggiore

La fase attuale è di rafforzamento: «In questo momento il mondo dell’arte è supereccitante, afferma. Penso si possa fare tutto ciò che si vuole. Ci sono fantastiche opportunità per fare cose cui la gente davvero non pensa, perché c’è questa mentalità da pecoroni. Mi sembra di essere sulla strada giusta per liberarmi delle catene di una Michele Maccarone da cui si va per trovare i giovani artisti». La linea verte ora su mostre più orientate al business, certamente, ma la Maccarone mantiene il suo fascino da bohèmien: «Non sarò mai una vera professionista. Sono la peggiore. Il mio medico non riesce a credere che io sia una mercante d’arte: dice che sono così casual», confessa.

Ora un’espansione a Los Angeles segna per lei una nuova era. L’avamposto della Maccarone nel centrale quartiere di Boyle Heights è dotato di 1.400 mq di spazio esterno che comprendono un giardino per sculture oltre a studi per due degli artisti della galleria, Oscar Tuazon e Alex Hubbard. La mostra inaugurale, dal 19 settembre al 20 dicembre, è dedicata a quest’ultimo e comprende dipinti montati su telai che rendono le opere ibridi pittorico-scultorei autoportanti.

È stata l’artista di Los Angeles Laura Owens a convincere la Maccarone ad aprire la sede californiana: «Laura mi ha mostrato fotografie di questo spazio dicendo che mi sarebbe piaciuto moltissimo, e la mia reazione è stata: “Non lo farò, è una follia”. Ma Laura ha detto molte cose meravigliose su concetti come comunità e dialogo. E io ho un debole per gli spazi belli». All’inizio il progetto era di utilizzare per mostre lo spazio che è ora lo studio di Hubbard, ma i due spazi accanto al lotto divennero quasi immediatamente disponibili e «una piccolissima idea divertente si è trasformata in qualcosa di molto più grande che continua a crescere». L’operazione, conclude Michele Maccarone, è focalizzata sugli artisti: «Los Angeles significa artisti viventi, e quale artista non vorrebbe disporre di questo delizioso spazio espositivo in un clima così gioioso? Dopo tutto, gli artisti sono i miei capi».  

Charlotte Burns, 19 settembre 2015 | © Riproduzione riservata

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